Incontri con l’autore, due chiacchiere con Lisa See

Lisa See, la prima domanda è quasi spontanea: perché ha scelto un contesto così lontano e così duro rispetto alla cultura occidentale? Ritiene che non si conosca abbastanza della condizione delle donne in Cina, attuale o passata? Non ho scelto l’argomento ma è l’argomento che ha scelto me. Quando ho scoperto dell’esistenza del nu shu ho sentito di doverne scrivere. Il nu shu è una forma di scrittura segreta utilizzata dalle donne in un’area remota della Cina, da loro inventato e mantenuto segreto per mille anni. Lo utilizzavano come un’ancora di salvezza per comunicare con l’esterno, per condividere le loro esperienze con altre donne. Ho pensato che anche se è una cosa del passato è ancora attuale, rilevante per la nostra vita di oggi perché se anche le circostanze sono molto diverse tutti desideriamo amore e amicizia.
Lei è più legata agli aspetti drammatici o a quelli poetici del suo romanzo? Sono legata a entrambi ma in modo diverso. Per quanto riguarda gli aspetti drammatici volevo creare una storia che potesse coinvolgere i lettori anche da un punto di vista emotivo, dare loro la possibilità di sentirsi vicini a questi personaggi come se fossero nella stessa stanza con quelle donne. Per quanto riguarda gli aspetti poetici oggi sono rimasti solo 175 scritti di nu shu tra lettere, racconti, poesie, autobiografie, canzoni. È un linguaggio molto bello soprattutto perché le donne che lo crearono vivevano confinate in casa dall’età di cinque anni fino alla morte e quindi, per tutta la vita, si guardavano dentro. Perciò le loro emozioni, sentimenti e la loro immaginazione erano molto acuiti. Questo rende il linguaggio del nu shu molto poetico. Volevo onorare l’esperienza di queste donne.
Quello dell’amicizia che rende forti e complici in momenti di difficoltà è uno dei temi importanti del romanzo: crede che questo concetto sia attuale? Sì, anche se le circostanze possono cambiare, l’amicizia in sé non cambia, dovunque ci si trovi, che si sia ricchi o poveri. Le amiche ci accompagnano nei momenti buoni e brutti della vita e questa è una realtà universale.
Quanto si riconosce nella sua protagonista? Vedo me stessa un po’ in entrambe le protagoniste. Giglio Bianco a volte è impaziente e io vorrei essere più paziente, ma non lo sono e quindi questa è una debolezza non solo sua ma anche mia. Fiore di Neve sopravvive alla sua situazione grazie all’immaginazione e io ho immaginato cosa avrei fatto al suo posto. Sarebbe stato molto difficile per me vivere in una situazione come quella e avrei pensato costantemente a come uscire da quella stanza e anch’io mi sarei affidata all’immaginazione. Fiore di Neve parla costantemente di uccelli che si liberano in volo. Il suo linguaggio è molto poetico perché l’immaginazione è l’unico modo per sopravvivere.
Paola Pioppi