NOVITA’ A CANTU’ – Parenti accanto ai pazienti in tarapia intensiva, nasce “rianimazione aperta”

I pazienti della terapia intensiva dell’ospedale di Cantù potranno avere un familiare accanto 24 ore su 24. E’ stato avviato oggi in via sperimentale nel presidio Sant’Antonio Abate il progetto “Rianimazione Aperta”. Nel reparto diretto dal dottor Gianmario Monza, dotato di 6 posti letto, l’accesso dei parenti non sarà più regolamentato da orari rigidi, nell’ottica di uno spirito di umanizzazione e vicinanza al malato. E’ quanto è emerso oggi pomeriggio nel corso dell’evento per la festa dell’ospedale in occasione delle celebrazioni del santo patrono a cui sono intervenuti il direttore generale dell’Asst Lariana Marco Onofri, il direttore sanitario Fabio Banfi, il direttore del Dipartimento di Emergenza Anestesia e Rianimazione Mario Landriscina, il direttore medico Patrizia Figini e il primario Monza.
L’accesso al reparto dovrà però seguire regole ben precise. Lo staff della Terapia Intensiva ha messo a punto, infatti, una serie di indicazioni da dare ai familiari del ricoverato. In particolare è ammesso un visitatore per volta, ma durante la giornata potranno alternarsi più persone. È consigliato poi riservare le visite alle persone significative per il paziente, mentre è vietato il continuo cambio di visitatori. Se è cosciente sarà lo stesso paziente a stabilire chi può entrare e per quanto tempo.
Per l’ingresso in reparto è previsto l’uso di mascherine solo se il visitatore è affetto da malattie delle vie respiratorie, mentre all’ingresso e all’uscita è obbligatoria l’igiene delle mani. Il personale medico fornirà le informazioni cliniche preferibilmente dalle ore 13 alle 16, di norma a un parente di riferimento, e le informazioni telefoniche sono concesse previo accordo con il singolo.
“Il familiare – spiega il primario Monza – è invitato ad allontanarsi dalla stanza di degenza in caso di emergenze, manovre rianimatorie e invasive, accettazione di nuovi pazienti, indagini radiologiche e durante l’igiene dei pazienti. Può rimanere durante le altre pratiche assistenziali (es. rilievo dei parametri vitali, la broncoaspirazione, la movimentazione, l’alimentazione, ecc.), fatta salva la volontà del paziente. La prima accoglienza del familiare in reparto dopo il ricovero è effettuata dall’infermiere che, con l’ausilio di un opuscolo informativo, presenta le nuove politiche e la loro finalità”.
L’evoluzione
“Da tanto tempo si parla di terapie intensive aperte – specifica Monza -. Si è passati dai cosiddetti reparti off limits, dove l’accesso dei parenti al capezzale dei propri cari era vietato, oppure consentito per pochi minuti previa bardatura con camici, cappellini, soprascarpe, maschere all’accesso per qualche ora al giorno, in alcuni casi anche 4-5 ore. Familiari e visitatori hanno libero accesso nel 70 % delle Terapie intensive svedesi, nel 32 % di quelle americane, nel 23 % di quelle inglesi e nel 14% di quelle olandesi”.
In Italia, invece, il tempo di visita è limitato a circa due ore al giorno e solo il 2% dei reparti non pone un limite nell’arco delle 24 ore, cioè una ventina di reparti. Le Terapie Intensive italiane non modificano le proprie “visiting policies” neppure quando il paziente ricoverato è un bambino (9%) o quando il paziente sta morendo (21%). Un atteggiamento ancor più restrittivo si registra nei reparti con un alto numero di ricoveri e in quelli delle regioni meridionali e delle isole, dove gli orari di visite sono molto più limitati (15 minuti o divieto di accesso).
Riduzione del disagio
“Pioniere in questo ambito in Italia – prosegue il primario – è stato il dottor Sergio Livigni, direttore della Rianimazione del S. Giovanni Bosco di Torino. Esistono provate evidenze sui benefici della presenza dei cari al letto del malato, mentre non ne esistono sull’aumento di infezioni correlate alle visite dei familiari. Inoltre, bisogna chiedersi cosa desiderano i pazienti, che durante il ricovero sono sottoposti a una gran quantità di fattori stressanti”.
Le persone ricoverate in rianimazione, infatti, devono fare i conti con il dolore, la perdita del sonno, la sensazione di sete, la presenza di cateteri, tubi che impediscono il movimento e la parola, la preoccupazione per la loro salute, la difficoltà di comunicare e la mancanza dei propri familiari.
“Studi di follow-up – conclude lo specialista – hanno dimostrato come l’esperienza della terapia intensiva condizioni la vita dei pazienti anche dopo molto tempo dalla dimissione, induca lo sviluppo di sindromi psichiatriche, modifichi la qualità del sonno e la visione globale della vita. E la vita, il modo di considerarla, cambia molto spesso anche per i parenti che hanno un proprio caro in rianimazione. E’ compito di medici e infermieri occuparsi non solo delle cure, ma anche dello stato di benessere del paziente. Contenere il disagio si traduce in un migliore effetto terapeutico con significativa riduzione gli esiti. Si completa, così, il triangolo della cura con l’aggiunta di un nuovo fondamentale elemento: i familiari. Questo in linea con il motto che il personale della Rianimazione di Cantù si è dato: curare la persona e non solo la malattia”.