TERRITORI | CINEMA | ARCHITETTURE una rassegna sull’arte di vedere lo spazio

C’è più di un legame che lega architettura e cinema. Non pochi architetti hanno dimostrato una profonda fascinazione per il cinema, medium moderno per eccellenza, straordinaria “arte di vedere lo spazio”. Proprio per questo si rinnova la collaborazione tra l’Ordine degli Architetti PPC di Como e il Lake Como Film Festival, con la seconda edizione della rassegna TERRITORI | CINEMA | ARCHITETTURE, nata dal comune interesse per gli spazi reali e per la loro rappresentazione virtuale. Il ciclo di proiezioni parte dalla comune riflessione sugli scenari urbani a confronto/contrasto con i paesaggi naturali, che unendo diversi interessi e sensibilità vuole raccontare le interessanti relazioni tra architettura e cinema.

Presentata negli scorsi giorni da Michele Pierpaoli, presidente dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Como, Sergio Beretta della Commissione Spazio Pubblico dell’Ordine degli Architetti e Alberto Cano direttore artistico Lake Como film festival, la rassegna prenderà il via giovedì 13 ottobre, nella Sala Conferenze della Sede dell’Ordine degli Architetti di Como in via Sinigaglia 1, presso il prestigioso edificio Novocomum di Giuseppe Terragni, con THE INFINITE HAPPINESS di Ila Beka e Louise Lemoine e, attraverso 8 appuntamenti svilupperà, miscelando fiction e documentari, due traiettorie tematiche Urbano|Umano e Filmare le Architetture. Le proiezioni si terranno alle ore 21.00 al Novocomum di Terragni in via G Sinigaglia 1 a Como. Ingresso gratuito. Tranne quella del 9 febbraio, (Il disprezzo di J.L. Godard), prevista allo Spazio Gloria di Como
TERRITORI | CINEMA | ARCHITETTURE, è nata anche come terreno di incontro di FISIONOMIE LARIANE, progetto di ricerca sul territorio comasco a cura della Commissione Cultura dell’Ordine degli Architetti, con l’itinerario cinematografico del Lake Como Film Festival, e troverà quale ultimo appuntamento, ancora da definire, giovedì 18 maggio, l’inizio del percorso della sezione Cinema e Luoghi che si estenderà
nell’ambito della quinta edizione del Festival nell’estate 2017.
TERRITORI | CINEMA | ARCHITETTURE, è una ricerca in divenire che vuole raccontare gli scenari umani dello spazio urbano contemporaneo, le architetture documentate e ricostruite dallo sguardo dinamico del cinema, i profili di importanti figure dell’architettura moderna e, nella sua dimensione territoriale estiva, il cinema che si esibisce e dialoga con i luoghi topografici.
Filmare le Architetture
“Il percorso dell’essere umano attraverso lo spazio, implica contrasti e inquadrature, cioè una successione di immagini. Nessuna opera architettonica rimane uguale a se stessa: subisce le variazioni della luce, le trasformazioni del contesto, la presenza dell’uomo; l’edificio ha in sé la dinamica del vivere ed i diversi punti di vista scelti possono variarne la comprensione. Ed ecco come l’immagine dinamica cinematografica acquista piena validità nella comunicazione delle architetture”. Così Wim Wenders spiega il senso di Filmare le Architetture, la trama tematica che apre la rassegna, quella che guarda alla dinamica del cinema nella tridimensionalità dello spazio architettonico, nella mutevolezza del tempo, attraversando e vivendo virtualmente gli spazi edificati.
Il primo appuntamento è con THE INFINITE HAPPINESS di Ila Beka e Louise Lemoine, coppia di registi tra i più importanti oggi in questa ricerca, che raccontano il complesso residenziale 8 HOUSE dell’architetto danese Bjarke Ingels (BIG), costruito nella periferia di Copenhagen. Il duo ci accompagna in una visita di questo “villaggio verticale” – nominato World Best Residential Building nel 2011 – secondo il proprio usuale stile: seguendo la vita quotidiana che lì si svolge, e ascoltando i pareri di chi lì abita. Una celebrazione della vita in condominio, che sembra risorgere dagli errori del passato, spesso anticamera per la ghettizzazione. Qui invece, nonostante la dimensione periferica, tutti sono entusiasti, perché la scelta di abitare a 8 HOUSE si rivela come una vera e propria scelta di vita. L’architettura, così raccontata, sembra riuscire nell’intento originario: rendere la vita migliore e a misura d’uomo.
Nell’appuntamento di giovedì 15 dicembre si presenteranno i cortometraggi sul Monumento ai Caduti di Como realizzati durante un workshop per studenti e giovani architetti film-makers organizzato dalla Commissione Cultura dell’Ordine degli Architetti P.P.C. e guidato da Ila Beka. L’ iniziativa verrà svolta nella prima settimana di novembre nell’ambito delle celebrazioni del centenario dell’architetto Sant’Elia.
Giovedì 16 febbraio Filmare le Architetture presenterà un altro protagonista del cinema di architettura, Heinz Emigholz, con il suo film LOOS ORNAMENTAL, documentario dedicato all’architetto austriaco Adolf Loos, considerato uno dei pionieri dell’architettura moderna, e alle varie fasi della sua produzione nei primi decenni del Novecento che il film ci racconta in ordine cronologico, mostrando lo sviluppo del suo particolare stile progettuale.
Ad uno dei protagonisti dell’architettura contemporanea è dedicato il film di giovedì 20 aprile, QUANTO PESA IL SUO EDIFICIO, MR. FOSTER? di Norberto López Amado e Carlos Carcas, incentrato sulla figura di Norman Foster. Il titolo riprende la curiosa domanda che Richard Buckminster Fuller, architetto e designer americano, gli pose quando sorvolarono insieme il Sainsbury Centre for Visual Arts dell’Università della East Anglia. Da questo interrogativo Foster avvia una ricca riflessione sulle sue opere e l’evoluzione della sua creatività.
Urbano|Umano
Il rapporto tra cinema e architettura è inscritto nelle origini della settima arte e della città moderna. Da sempre lo spazio urbano è un set privilegiato, per quelle affinità elettive che legano lo sguardo mutevole e “montato” del cinema con la città e suoi ritmi percettivi. Dagli esordi del cinema molto è cambiato: da una esaltante celebrazione della città e dei suoi ritmi moderni si è passati ad una critica ragionata che esibisce i contrasti insiti nella relazione tra umanità e urbanità. Da qui trae spunto la trama di “Urbano/Umano”, che vuole raccontare il volto multiforme e frammentato del panorama urbano contemporaneo e dei difficili modelli di convivenza.
Apre il percorso, giovedì 17 novembre, il film SACRO GRA di Franco Rosi, Leone d’oro al Festival di Venezia 2013, che ha dato fama internazionale al documentarista italiano, consacrata poi con l’Orso d’oro al Festival di Berlino 2016 con “Fuocoamamre” il film dedicato all’isola di Lampedusa. Franco Rosi è il protagonista di una rivoluzione del documentario per il cinema, autore di uno stile innovativo e originale che con un acutissimo sguardo su frammenti focalizzati è capace di raccontare e dare un’inusuale visione d’insieme. Emblematico SACRO GRA che ci racconta la città di Roma e la sua complessa e articolata urbanità attraverso alcuni frammenti di vita colti attorno al Grande Raccordo Anulare.
Giovedì 19 gennaio spazio a un grande classico della cinematografia architettonica, LA FONTE MERAVIGLIOSA di King Vidor, film del 1949 ispirato alla vita dell’architetto Frank Lloyd Wright, impersonato da Gary Cooper. Nel film Howard Roark, un giovane architetto di talento e di inflessibile coerenza, rifiuta di venire a patti con qualsiasi compromesso pur di affermare il proprio genio creativo e quella che considera la vera architettura, carica di idee avveniristiche e dalla visione di una nuova urbanità. Il film di Vidor è una preziosa testimonianza sull’evoluzione dell’architettura e delle forme dell’abitare.
Idealmente contrapposto è l’appuntamento di giovedì 16 marzo, MON ONCLE di Jacques Tati, in cui Tati, come in quasi tutte le sue opere, persegue, con tutta l’intelligenza ironica che gli è propria, la sua critica feroce e gentile alle forme del moderno e all’inevitabile spaesamento e alienazione che ne derivano. Tati costruisce il suo film contrapponendo due dimensioni del vivere in città: da una parte il quartiere popolare, dove abita Hulot, dall’altro quello ultramoderno, in cui vive il nipote del protagonista, Gérard, con i genitori in un’asettica villa ultramoderna. Una duplicità. Quasi una spaccatura. Come il cinema di Jacques Tati, continuamente sospeso tra classico e moderno, tra la nostalgia del passato e un continuo sguardo sul futuro.

