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N’drangheta: armi, droga e partite truccate: un sequestro anche a Bregnano

3 novembre 2016 | 11:16
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I carabinieri e la Direzione distrettuale antimafia mettono i sigilli ad un appartamento nel canturino. Era di propeirtà di alcuni degli arrestati. Dall’inchiesta uno spaccato di Italia senza regole…..

Dalla Piana di Gioia Tauro alla Lombardia, andata e ritorno. Il blitz dei carabinieri ha colpito le cosche Ferrentino-Chindamo e Lamari di Laureana di Borrello (Reggio Calabria). In manette sono finite 41 persone con il provvedimento di fermo ordinato stamattina dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che agli indagati contesta i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, concorso esterno con la ‘ndrangheta, porto e detenzione di armi, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, estorsione, danneggiamenti, lesioni personali gravi, frode sportiva, intestazione fittizia di beni e incendio.

L’operazione “Lex” è scattata stamattina all’alba e ha interessato non solo la provincia di Reggio Calabria ma anche quelle di Roma, Milano, Vibo Valentia, Pavia, Varese, Como, Monza-Brianza e Cagliari. In manette, tra gli altri, è finito anche l’assessore al Verde pubblico del Comune di Laureana di Borrello, Vincenzo Lainà, ritenuto il referente politico del clan Ferrentino-Chindamo e indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.

Attraverso il Comune, infatti, secondo l’accusa la cosca riusciva ad accaparrarsi appalti e lavori che poi venivano assegnati alle imprese e società riconducibili ai boss a cui i carabinieri (guidati dal comandante provinciale Giancarlo Scafuri e dal colonnello Vincenzo Franzese) stamattina hanno sequestrato beni per oltre 30 milioni di euro tra immobili e attività imprenditoriali. I sigilli, infatti, hanno interessato appartamenti a Laureana di Borrello, Vibo Valentia, Voghera (Pavia) e Bregnano (nella nostra provicia), quattro imprese di costruzioni, una di import-export operante nel porto di Gioia Tauro, un’edicola, un supermercato e anche una squadra di calcio: la Polisportiva Laureanese inserita nel campionato di Promozione (girone B). La gestione della società sportiva, secondo gli inquirenti, era infiltrata dalla famiglia Lamari che si serviva del pallone per creare consenso. Gli investigatori, inoltre, hanno riscontrato che il clan ha “combinato” il risultato in almeno due incontri di calcio.