Como capitale della medicina ortopedica. Intervista al dottor Andrea Fontana del COF Lanzo Hospital

11 settembre 2017 | 10:44
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Como capitale della medicina ortopedica. Intervista al dottor Andrea Fontana del COF Lanzo Hospital

Venerdì 15 e sabato 16 settembre il Palace Hotel di Como ospiterà il ghota degli specialisti nel campo della medicina ortopedica . Una faculty interamente dedicata alla chirurgia di conservazione dell’anca. Argomenti specifici e innovativi, come il Sistema di mappatura fianco difetti cartilaginei e classificazione femore acetabolare impingement.

L’evento è organizzato dalla COF Lanzo Hospital Spa – Clinica ortopedica e fisiatrica – Casa di Cura privata del Comune dell’Alta Valle, in Valle d’Intelvi. Sede dell’evento il Palace Hotel di Como, coordinatore dei lavori il dottor Andrea FONTANA. Proprio il COF dell’Alta Valle è una delle strutture ospedaliere ad avere introdotto questa metodologia, una sperimentazione ormai andata a regime che, oltre ad apportare grandi benefici a chi si sottopone all’intervento riduce drasticamente i costi per la sanità pubblica.

Per capire meglio i temi affrontati nel corso della faculty di settembre, abbiamo intervistato il dottor Andrea Fontana, chairman del meeting e responsabile dell’U.O. Ortopedia e Traumatologia Sezione 1 del COF Lanzo Hospital Spa – Clinica ortopedica e fisiatrica – Casa di Cura privata.

“Quello che si svolgerà il prossimo 15 e 16 settembre a Como è un corso internazionale dove è prevista una faculty con i massimi esperti nella chirurgia conservativa dell’anca, provenienti da tutto il mondo.  – commenta Andrea Fontana – Focus del corso “Hip Cartilage Meeting” saranno i nuovi trattamenti di chirurgia conservativa dell’anca. Interventi che segnano un’evoluzione della medicina e danno il via a nuovi percorsi di prevenzione dell’artrosi. L’Italia si colloca tra i Paesi europei più specializzati in questo ambito ed il COF dell’Alta Valle Intelvi è una delle strutture in grado di trattare pazienti affetti da questo tipo di patologia”.

Intervista dottor ANDREA FONTANA – chairman dell’International HIP meeting

Risvolti socio economici di questi trattamenti?

Sono interventi mini invasivi e pertanto riusciamo a garantire una ripresa più veloce del paziente, con tempi di ripesa delle normali attività quotidiane e lavorative decisamente più veloci e riusciamo anche a non sottoporre il paziente a una riabilitazione troppo pesante. Questi trattamenti chirurgici conservativi si rivolgono a pazienti di tutte le età, soprattutto ai più giovani. Facendo prevenzione ed evitando quindi gli interventi di protesi d’anca risultano vantaggiosi anche per il sistema sanitario nazionale, dal punto di vista dei costi. Il paziente infatti non si deve sottoporre a lunghi trattamenti palliativi. I casi trattati ogni anno presso il COF sono numerosi. Secondo delle statistiche personali, su 870 pazienti trattati negli ultimi anni, 112 erano già in lista per fare una protesi d’anca. In 4 anni, di questi 112, solo il 30% ha dovuto fare una protesi dopo il trattamento conservativo. Questo significa che il 70% di questi pazienti ha trovato beneficio dall’intervento conservativo ed hanno, sia pur temporaneamente, evitato di fare la protesi all’anca. Più bassi, di conseguenza, i costi per il Servizio sanitario nazionale.

Poco alla volta, l’artroscopia d’anca soppianterà la protesi?

Cerchiamo di spingere in questa direzione, non perché l’intervento di protesi d’anca sia negativo, ma perché porta a dei costi sociali elevati e comporta altresì un dispendio di energie del paziente superiore. Dopo l’operazione di protesi infatti si inserisce il periodo di riabilitazione e un ricovero più lungo oltre ad un’invasività maggiore. Cerchiamo di adottare una filosofia preventiva cercando con la chirurgia conservativa di contenere l’artrosi. Facciamo in modo che l’artrosi all’anca, se non completamente debellata, sia rallentata nel tempo e nella sua evoluzione.

Quando ha iniziato a lavorare con questa nuova tecnica sui pazienti affetti da problemi legati all’anca?

Nel ’95, anno in cui mi trovavo in Inghilterra a Cambridge per una borsa di studio e dove mi sono specializzato in chirurgia artroscopica dell’anca. In quegli anni i trattamenti conservativi dell’anca erano ancora conosciuti da pochi e si trattava quindi ancora di una chirurgia pionieristica. Nella chirurgia dell’anca, a differenza di quanto successo storicamente nelle altre articolazioni, è rimasto un grosso gap tra quella che è la terapia conservativa (riabilitazione, infiltrazioni, medicinali anti infiammatori) e la chirurgia, che è stata, fino a qualche anno fa, soltanto di tipo protesico. Quindi il paziente che aveva una patologia dell’anca, si trovava solo con due alternative: quella del trattamento riabilitativo, prevalentemente medico da un lato e quello di tipo protesico dall’altro. Oggi questo panorama è cambiato in modo significativo perché tra questi due estremi (medica/palliativa e terapia protesica), ci sono una serie di procedimenti chirurgici che hanno contribuito a risolvere le problematiche legate alla patologia dell’anca. Tra una medicina palliativa e una chirurgia estrema, si è inserita una sorte di chirurgia intermedia che permette al paziente di trattare anche delle patologie che prima venivano o esageratamente trattate con la protesi d’anca oppure sotto trattate con la terapia medica.

Tutti i centri di ortopedia hanno inserito questa tecnica?

No, rimane ancora una peculiarità di alcuni centri e di pochi specialisti che fanno questo tipo di chirurgia, in quanto non è ancora diffusa in maniera significativa. Rimane una chirurgia super specialistica. A differenza delle altre tecniche artroscopiche, soprattutto per le ginocchia e per la spalla, la chirurgia dell’anca mantiene delle difficoltà strutturali particolari per cui è necessario fare una “specializzazione” dedicata in questo ambito. Fino a ieri Il chirurgo dell’anca era considerato colui che faceva le protesi. Con la chirurgia conservativa siamo riusciti ad inserire delle nuove strategie terapeutiche chirurgiche mini invasive che permettono di affrontare in maniera molto utile tante problematiche che riguardano l’anca, soprattutto, nell’ambito preventivo. Con questi interventi non possiamo ancora oggi avere la presunzione di dire che riusciamo a prevenire l’artrosi nell’anca, ma riusciamo a prevenire e trattare numerose patologie che, se lasciate a se stesse, evolvono in una grave artrosi. E a quel punto è necessario ricorrere alla protesi.

Questo intervento può essere ripetuto nel tempo?

Come no! Ci sono pazienti che hanno delle patologie artrosiche iniziali che si sottopongono all’intervento e che, in un secondo momento, a distanza di cinque, sei, sette anni, ripresentano dei sintomi e decidono di non ricorrere ancora alla protesi e di rifare l’artroscopia dell’anca. Porto l’esempio di un giovane di 30 anni che, dopo otto anni, si è recentemente sottoposto nuovamente ad un trattamento senza protesi.

Quanti interventi in Italia in Lombardia, nel mondo sono già stati eseguiti?

Diverse decine di migliaia. Prenda in considerazione che l’ISHA (International Society for Hip Arthroscopy), società di cui faccio parte del direttivo, ne conta ogni anno più di 20mila. L’Europa e gli Stati Uniti, sono i paesi con il maggior numero di interventi di questo tipo. Seguono poi l’America Latina, il Medio Oriente, l’Asia e l’Africa. Ma è una tecnica in espansione per la quale noi notiamo un continuo e crescente interesse. Lo troviamo anche dagli iscritti alla nostra Società. Partita nel 2008 con poco più di 100 unità, ora conta 600 soci.

Possiamo fare un confronto tra il tradizionale intervento chirurgico protesico con l’intervento conservativo dell’anca?

Sì. Un primo confronto sulle vie d’accesso. Sul taglio chirurgico. In genere in chirurgia protesica i tagli chirurgici si aggirano intorno ai 10/15 cm. Nell’artroscopia d’anca si fanno 2 o 3 tagli minimi. Per spegarmi con parole più comprensibili per chi non è un medico, l’artroscopia d’anca è un grosso intervento che viene fatto “del buco della serratura”. Si entra da una piccola fessura in una grossa camera, l’anca, con dei tagli minimi di 1/1,5 cm. Attraverso questi tagli e con gli strumenti adeguati, si esegue il “restauro” dell’articolazione. Particolare riguardo viene posto ai danni che subisce la cartilagine. Questo è un tessuto molto delicato che non è in grado di rigenerarsi. Fino a poco tempo fa, in caso di danno, non vi era la possibilità di recupero. Ora invece abbiamo una serie di tecniche chirurgiche che ci permettono di stimolare il tessuto attraverso l’utilizzo di membrane e/o di cellule fornite dallo stesso paziente che contribuiscono a rigenerare la superficie cartilaginea. Quindi ne viene curato e prevenuto il danno.

Si può intervenire sui bambini oppure è troppo presto?

L’artroscopia d’anca non ha limiti di età. Ci sono indicazioni al trattamento artroscopico per pazienti anche in età pediatrica. In questi casi non si tratta ovviamente di curare l’artrosi, ma altre malattie come le infezioni articolari. Mi riferisco alle artriti settive dell’anca, che si possono sviluppare in bambini affetti da leucemie o immunodepressi. In questi casi il trattamento con artroscopia ha dato risultati sorprendenti. Non solo si risolve l’infezione dell’articolazione ma si riducono significativamente i tempi di assunzione degli antibiotici ed il recupero funzionale è decisamente più rapido e duraturo.

Tempi di recupero post operatorio in pazienti adulti?

Ovviamente il recupero funzionale post operatorio varia in base alla patologia trattata. In generale comunque è previsto l’utilizzo delle stampelle per un periodo che va da 3 a 4 settimane dopo l’intervento.

In Pazienti che eseguono attività lavorative sedentarie, si può riprendere l’attività lavorativa anche dopo una settimana. Al contrario, se il paziente esegue un’attività lavorativa pesante, saranno necessarie almeno 4 settimane prima di riprendere il lavoro.

Funziona anche per le patologie gravi?

L’artroscopia d’anca si inserisce in un contesto ben preciso. Guai a dire che l’intervento di artroscopia serve per curare l’artrosi grave dell’anca. Per questa l’indicazione appropriata è la protesi. L’artroscopia d’anca e tutta la chirurgia conservativa applicata a questa articolazione ha un’indicazione appropriata nei casi in cui il danno artrosico sia ancora lieve o medio. Rispettando questo principio si ottengono risultati buoni o ottimi e duraturi nel tempo nel 75/80% dei casi.

Centro di eccellenza?

COF, in Italia è quello che conta il maggior numero di interventi in un anno. Lombardia, Lazio, Emilia Romagna e Veneto, qualcosa in Campania, le altre regioni italiane specializzate.

Perché il COF si è specializzato?

IL COF è una struttura indirizzata al trattamento delle patologie ortopediche ed alla riabilitazione. Questo è un binomio vincente in quanto si riesce a trattare in modo completo i pazienti soprattutto nella prima fase, quella post operatoria. Il COF ha avuto questo interesse per ragioni legate ad attività sia chirurgiche che riabilitative e questo sicuramente è un grosso vantaggio.

In termini economici il sistema nazionale risparmia?

Nei casi di protesica all’anca, il costo è superiore in quanto, oltre ai costi delle protesi, ci sono anche quelli del ricovero e della riabilitazione. Di norma è prevista una degenza di un mese. Per l’intervento di artroscopia d’anca, si parla di 5 giorni. Inoltre, ciò che incide significativamente a sfavore degli interventi di protesi, dal punto di vista sia clinico che economico, sono le revisioni o re-interventi di protesi e tutte le complicanze correlate, quali la lussazione e le infezioni.

Riabilitazione post intervento?

Semplice. Parliamo di una riabilitazione in cui il paziente deve utilizzare le stampelle e viene istruito subito per deambulare con un carico parziale. Inesistente il rischio di lussazione. Nella protesi d’anca, invece, bisogna fare attenzione per evitare le complicanze. Un ultimo aspetto: il rischio di infezione è molto basso nella chirurgia artroscopica.

Quali gli Istituti eccellenti?

Ci sono colleghi che stanno facendo un lavoro egregio e fanno capo all’Istituto Rizzoli di Bologna e al San Donato di Milano.

Il futuro?

In progresso. Parliamo di applicare le più avanzate bio tecnologie in campo medico per la cura e la prevenzione della degenerazione artrosica. Non solo dell’anca, ovviamente!

La più grande soddisfazione?

Quella dei pazienti