Intervista a Davide Fent |
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Una personale di Pablo Echaurren a Palazzo Terragni? Como, accetta il consiglio!

8 marzo 2018 | 22:37
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Una personale di Pablo Echaurren a Palazzo Terragni? Como, accetta il consiglio!
Una personale di Pablo Echaurren a Palazzo Terragni? Como, accetta il consiglio!
Una personale di Pablo Echaurren a Palazzo Terragni? Como, accetta il consiglio!
Una personale di Pablo Echaurren a Palazzo Terragni? Como, accetta il consiglio!

Mi permetto proporre in qualità di cittadino interessato allo sviluppo della cultura e del turismo della nostra meravigliosa città, la Mostra di uno dei più grandi artisti viventi Pablo Echaurren...Davide Fent, giornalista, scrittore e curatore di rassegne culturali, scrive al Comune di Como sottoponendo un’idea, fondata su alcuni riscontri oggettivi, per l’attuazione di una mostra d’arte allestita all’interno di Palazzo Terragni dedicata al pittore romano Pablo Echaurren. 

“Non è una provocazione – precisa Fent – ma un consiglio che viene dall’amore per Como. Dobbiamo immancabilmente fare i conti con la “Bellezza”  del luogo che ci ha scelti. E’ una città con un’individualità ben precisa ha un grandioso passato ma, ahimè, un ben misero presente. Como vive di rendita, è “una bella allo specchio”. Se ci pensate, Como non ha nulla che ne interrompa lo skyline, il lago, simbolo per eccellenza dell’altrove,  le montagne con i loro verticalismi, Como ha un infinito intorno, qui è nata la straordinaria proliferazione di fantasia di scienziati e artisti. Leggere il territorio e il patrimonio artistico significa avere coscienza di se stessi ed essere parte viva di una comunità”. 

Nella lettera inviata al Sindaco Mario Landriscina e a Franco Brenna, presidente della Commissione Consigliare Cultura e Turismo del Comune di Como, Davide Fest scrive: Pablo è un amico, l’ ho già sentito onorato di venire a Como. A novembre accompagnerà sua moglie Claudia Salaris, docente universitario, storica dell’arte italiana, studiosa di storia delle avanguardie e del futurismo, entrambi possiedono la più grande collezione mondiale di opere letterarie futuriste , a un convegno presso Villa Vigoni dedicato a Gabriele D’ Annunzio.

Per il luogo avrei pensato, leggendo anche interviste proprio dedicate all’ argomento dove lei Signor Sindaco, con Franco Brenna e Vittorio Sgarbi proponevate Palazzo Terragni, e il Comandante della Guardia di Finanza (encomiabili nel preservare un monumento Patrimonio dell’ Umanità in tutti questi anni) si era detto disponibile.

L’idea di Davide ha rapidamente preso piede tra i social comaschi ed è subito piaciuta a quella buona parte dei concittadini che sentono la mancanza di un evento artistico-cuturale di portata nazionale. Oggi abbiamo invitato Davide Fent ad una chiacchierata ed, ecco qui sotto, cosa ci ha detto

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Chi è Pablo Echaurren

Nasce a Roma il 22 gennaio 1951. Figlio di Sebastian Matta,

inizia a dipingere a diciotto anni e viene subito scoperto da Arturo Schwarz, patron del dada-surrealismo, titolare all’epoca di una galleria milanese. Tra il 1973 e il 1975 espone a Roma, Milano, Basilea, Philadephia, Zurigo, Berlino, New York, Bruxelles. Sullo  Nel 1997 viene nominato Accademico di San Luca. Ma, accademico sui generis, fonda il Partito del Tubo, una sorta di comunità mediatica, che, all’interno del progetto Oreste, è invitato alla Biennale di Venezia nel 1999.

Negli anni settanta il suo stile è diventato popolare tra i ragazzi con la copertina del best seller Porci con le ali, ma il suo rapporto con i giovani è sempre vivo. Infatti, ha curato l’immagine del festival rock Arezzo Wave ed è stato tra i promotori di alcune riviste controculturali.

pablo echauurren

Il suo lavoro ha sempre mantenuto un intenso rapporto con i movimenti e il sociale. Dall’esperienza di un laboratorio artistico nel carcere romano di Rebibbia è nato il film Piccoli ergastoli, presentato alla Mostra internazionale del cinema di Venezia nel 1997.  Autore di saggi (Controcultura

in Italia; Il suicidio dell’arte, 2001; Nel paese dei bibliofagi, 2010), romanzi e racconti (Compagni, 1998; Delitto d’autore, 2002), ha pubblicato anche una serie di biografie illustrate, dedicate a F.T. Marinetti, Tristan Tzara, Picasso, Dino Campana, Ezra Pound, Vladimir Majakovskij ecc.

Mostre personali dopo il Duemila: Pablo Echaurren. Dagli anni settanta a oggi (Chiostro del Bramante, Roma 2004); Pablo Echaurren a Siena (Palazzo Pubblico, Siena 2008); Crhomo Sapiens (Museo della Fondazione Roma, Palazzo Cipolla, 2010-2011); Lasciare il segno (MAR, Ravenna 2011); Al ritmo dei Ramones (Auditorium Parco della musica, Roma 2006);  L’invenzione del

basso (Auditorium Parco della musica, Roma 2009); Baroque’n’Roll  (MACRO, Roma  2011). Mostre recenti: Matta: Roberto Sebastian Matta, Gordon Matta-Clark, Pablo Echaurren (Fondazione

Querini Stampalia, Venezia 2013); Iconoclast (Estorick Collection of Modern Italian Art, London 2014);  Contropittura (GNAM, Roma 2015 – 2016); Make Art Not Money (Museo Nacional de Bellas Artes, Santiago del Cile 2016); Duchamp magnétique (Scala Contarini del Bovolo, Venezia 2017);  Ritmo barocco (Palazzo Sforza Cesarini) 

Tra i tanti articoli a lui dedicati potete trovare questo di Laura Colombetti

Gli incontri / Nello studio di PABLO ECHAURREN

La mia pittura è come un rock

Provai a suonare, ma ero una schiappa. Così cominciai a collezionare chitarre. Ho riempito tutta la casa. Adesso metto in mostra i bassi chiusi in tempietti

Gli incontri / Nello studio di PABLO ECHAURREN

La mia pittura è come un rock

Provai a suonare, ma ero una schiappa. Così cominciai a collezionare chitarre. Ho riempito tutta la casa. Adesso metto in mostra i bassi chiusi in tempietti

pablo echauurren

Pittore, scultore, ceramista, disegnatore di fumetti, grafico, illustratore, autore di collage, scrittore, collezionista di pubblicazioni futuriste. Pablo Echaurren è noto per il suo «pluriverso», derivato dalla necessità di abbandonare un mondo a senso unico (uni-verso) e costruirne un altro lontano dal conformismo e dall’assuefazione (secondo la definizione data da Arturo Schwarz, suo primo gallerista agli inizi degli anni Settanta). Ma pochi conoscono la passione di Echaurren per i bassi. Intesi nel senso di chitarre elettriche. «Da tempo – racconta – ho un sogno ricorrente: di trovarmi dentro un negozio di bassi. Nel sonno ne percepisco perfino l’odore, quell’inconfondibile ed entusiasmante fragranza di vernici sintetiche, di legni resinosi, di corde».

Da una decina di anni l’artista tenta di realizzare il sogno raccogliendo chitarre elettriche storiche, trovate soprattutto tra i rivenditori americani o acquistate su e-bay. Le ha accumulate in un appartamento dalle parti di ponte Milvio a Roma. Settanta pezzi, ognuno racchiuso nelle sua custodia nera o marrone, grande a misura d’uomo. Custodie accatastate una sull’altra ovunque: nella grande sala trasformata in studio, in cucina, dentro gli armadi a muro. Di ogni pezzo Echaurren conosce tutti i segreti: chi l’ha progettato, dove è stato costruito, chi sono i musicisti più famosi che l’hanno suonato e in quali concerti. Apre le custodie e si sprigiona un mondo di luce, emanato dai rivestimenti in velluto color giallo oro, verde smeraldo, turchino. Adagiati all’interno, come gioielli, ecco i bassi: elegantissimi, con i corpi sottili e curvilinei, i lunghi colli slanciati, i legni pregiati, le vernici brillanti. Echaurren spiega che la sua passione per questi strumenti nasce proprio dalla bellezza della loro forma: «Anche se sono costruiti con intenti puramente funzionali e non estetici, alla fine risultano opere d’arte».

Lui e i bassi hanno la stessa età: nascono nel 1951. Pablo il 22 gennaio, dall’unione tra il grande surrealista cileno Sebastian Matta e l’attrice siciliana Angela Faranda. All’anagrafe fu iscritto come Pablo (da Neruda), Miguel, Papageno (da Mozart), Matta, Echaurren (dal cognome della nonna paterna di origine basca). L’impiegato comunale, confuso da tutti questi appellativi, trascrisse solo l’ultimo, che si pronuncia eciàurren, un suono «a metà tra il rumore di uno starnuto e quello di una macchina in corsa», come dice la moglie Claudia Salaris, studiosa del Futurismo.

pablo echauurren

Matta lasciò la famiglia quando il figlio era ancora piccolo e Pablo crebbe introverso, ansioso e ribelle. Da bambino restava chiuso nella sua camera, circondato da libri e figurine di dinosauri. «Volevo fare lo zoologo, l’entomologo, il paleontologo. Avrei voluto specializzarmi nei coleotteri. Leggevo Jean-Henri Fabre piuttosto che Salgari». Nasce da lì la mania di catalogare, espressa nei primi disegni inscritti in una serie di quadratini, e l’immaginario di mostri che oggi riempiono i suoi grandi quadri. Poi arrivarono i Beatles. «Una rivoluzione per la musica e per l’immagine che un maschietto aveva di sé: quella di un uomo non più macho, ma con movenze gentili, l’inchino, le scarpe coi tacchi». A sedici anni frequentava il Piper. «Mi facevano entrare gratis perché avevo un aspetto un po’ esagerato, capelli lunghi e stivaletti a tacchi alti, che a Roma era difficile trovare. Me li facevo fare da un calzolaio compiacente, che però mi guardava con aria compassionevole pensando che fossi gay».

Abbandona i coleotteri e decide che da grande farà il bassista. «All’epoca, in Italia il rock era considerato roba sospetta, ammantata nel più fitto mistero, come ogni divinità che si rispetti. I dischi più tosti venivano introdotti nel nostro Paese da indomiti borsari neri che facevano la spola con i Paesi sopra sviluppati. E sulle copertine noi ricamavamo. Quando mi capitava tra le mani una foto degli Stones non mi soffermavo tanto su Mick, Keith, Brian o Charlie, ma mi incantavo su Bill il bassista, il meno bersagliato dalle attenzioni delle fan. Il più sfigato, ma non per me che lo vedevo come il più forte dei cavalieri, di quelli che senza troppe manfrine reggono i destini della propria gente. Impassibile, imperscrutabile, emaciato, concentrato sul giro di basso e distaccato dalla baraonda che circondava la band, mi riconciliava con la mia umbratile condizione di isolato».

pablo echauurren

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Pablo acquista il suo primo basso, un Framus usato, lo stesso tipo usato da Bill, e comincia a suonare in un complessino. «Ma ero una schiappa. Sperando che dipendesse dallo strumento e non dalla mancanza di talento musicale, svendo la mia robusta collezione di francobolli dello Stato Pontificio e compro un signor Precision. Credevo che un Fender avrebbe fatto di me uno scafato musicista. Restavo una sega totale. Così appesi il basso al chiodo e amen». A diciott’anni, ancora sui banchi del liceo, incontra Gianfranco Baruchello che lo inizia alla pittura. Il basso lo dimentica a casa della madre, che dopo un po’ lo regala a un ragazzetto di passaggio. «Oggi varrebbe una bella cifra». Finché, una decina di anni fa, la moglie «in vena di scherzi da prete mi regala un nuovo Precision, risvegliando in me la bestia che ronfava. Da quel giorno non ho più smesso di inseguire un sogno troppo a lungo rimosso». Accumula bassi nel suo studio, ma non solo. Le chitarre elettriche invadono i grandi quadri e i piccoli collage. Il rock trasforma le tele realizzate dopo il Duemila, dove compare il dripping, ma non nella chiave informale usata da Pollock, bensì, dice Claudia Salaris, «guidato in forme a pettine che rimandano al basso continuo, o dilatato in raggiere circolari che richiamano le esplosioni della batteria, o soffiato come una voce nella vasta gamma che va dai sussurri alle grida».

E ora Echaurren fa entrare il rock in rotta di collisione con il barocco, non solo per facile assonanza, ma perché le due correnti artistiche, così lontane nel tempo, hanno influenzato entrambe il suo lavoro. Improvvisamente ha capito quanto abbiano in comune: «Entrambe non si sono limitate a rappresentare uno stile, ma hanno cercato di mettere in rapporto l’arte e la vita, infrangendo limiti, regole e codici. Il rock, con i suoi ritmi ossessivi, produce lo stesso spiazzamento, la stessa perdita di identità che gli artisti barocchi perseguivano con la poetica del sensazionale, l’allegoria, il metamorfismo, il grottesco». Così, mentre è ancora in corso al Museo della Fondazione Roma la grande retrospettiva dell’artista, Crhomo Sapiens, che il presidente Emmanuele Emanuele sta pensando di prorogare oltre il 13 marzo dato l’imponente afflusso di pubblico, al Macro si apre l’11 febbraio Baroque’n’roll, con sei edicole «sacre», realizzate da Echaurren in maiolica policroma faentina, che custodiscono diverse forme di bassi come divinità dentro un tempietto.

Vi compaiono, tra gli altri, il celebre Precision, ideato nel 1951 da Leo Fender per semplificare il contrabbasso e renderlo accessibile anche ai chitarristi e considerato il primo basso elettrico prodotto al mondo su larga scala, così chiamato perché consentiva la massima precisione nell’intonazione. E quelli prodotti in Italia, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, da aziende specializzate fino ad allora in fisarmoniche e organetti. Come il basso Vox, a forma di goccia, reso famoso dai Beatles e poi appaltato dall’azienda inglese ai costruttori Eko e Crucianelli di Castelfidardo nelle Marche. O il Cobra di Wandré, il cui vero nome era Antonio Pioli, nato nel 1926 a Cavriago (Reggio Emilia). Per marchiare le sue chitarre usò il nomignolo che il padre, intralciato dall’agitarsi del ragazzo in laboratorio, gli aveva affibbiato, e che in dialetto reggiano significa «vai al diavolo». Fu tra i primi a sperimentare tecniche di finitura come il nero fumo delle candele, lo spray e persino vere pitture a olio date su singoli esemplari firmati.

Lauretta Colonnelli