Con la voce di Iggy Pop il documentario L’uomo che rubò Banksy

10 dicembre 2018 | 11:51
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Con la voce di Iggy Pop il documentario L’uomo che rubò Banksy
Con la voce di Iggy Pop il documentario L’uomo che rubò Banksy
Con la voce di Iggy Pop il documentario L’uomo che rubò Banksy

Re indiscusso della Street Art, le sue opere appaiono sugli edifici di città diversissime sparse in tutto il mondo e sono vendute alle aste per cifre da capogiro, quando non vengono diabolicamente autodistrutte tra la sorpresa generale dei presenti. Questo è Banksy, protagonista in questi giorni di una mostra al Mudec di Milano, e, per soli due giorni l’11 e 12 dicembre, in tutti i  cinema (Cinelandia Cà Merlata, Arosio e Cantù Lux – UCI Cinemas Montano Lucino e Spazio Gloria via Varesina) con il filmL’uomo che rubò Banksydel regista milanese Marco Proserpio.

Il film è girato con lo sguardo palestinese sui messaggi che la street art veicola sul muro che separa Israele dalla Striscia di Gaza, ma è anche, al tempo stesso, il racconto della nascita di un mercato parallelo, tanto illegale quanto spettacolare, di opere di street art prelevate dalla strada senza il consenso degli artisti. L’uomo che rubò Banksy, documentario accolto con successo al Tribeca Film Festival, attraverso la voce narrante, profonda e ironica di Iggy Pop, racconta una storia vera che parte dal lontano 2007, quando un nucleo di artisti arriva a Betlemme per imprimere sul lungo muro divisorio, costruito da Israele in Cisgiordania, disegni di pace.

Tra loro, Banksy, che dipinge all’esterno di un edificio con il suo metodo collaudato di stencil, uno dei suoi lavori più discussi, la sagoma di un soldato che controlla il documento a un asino. La popolazione si divide tra chi si sente toccato e quasi insultato dall’essere paragonato a un asino e chi vede l’eco simbolico dell’assurdità della costruzione della vergogna. L’intraprendente taxista e culturista Walid, detto “The Beast”, mette letteralmente fine al problema e, dopo aver asportato una porzione di parete dove è collocato il disegno, la rivende su Ebay, prontamente acquistata da un ricco collezionista di Copenaghen.

banksy cinema

Banksy, personaggio tra i più noti e controversi degli anni 2000 di cui tutti parlano e nessuno ha mai incontrato di persona: il mistero sulle sue generalità ha dato il via alle ipotesi più fantasiose, scomodando perfino i criminologi. L’unica certezza sembra essere la sua origine, un verace inglese di Bristol e la fascia d’età, tra i 40 e i 50 anni. Alcune fonti attribuiscono la sua identità a Robert “3D” Del Naja, musicista del gruppo Massive Attack e apprezzato artista di graffiti, altri allo street artist Robin Gunningham. La teoria più pragmatica è che Banksy sia in realtà non una sola persona ma un collettivo di artisti, il che spiegherebbe l’attività assai prolifica e in luoghi così diversi e l’abilità da ninja nel non farsi mai sorprendere o fotografare durante i suoi attacchi d’arte. Quel che è certo è che, come pochi altri artisti al mondo, ha cambiato il mercato dell’arte e il suo stesso significato.

Il documentario di Proserpio non indaga sull’identità di Banksy, piuttosto apre a molte questioni irrisolte: di chi è davvero la proprietà di un prodotto artistico di strada? È di chi l’ha composto o del proprietario dell’edificio dove è collocata? Quanto viene snaturato il messaggio originario di un’opera se viene sradicata dal contesto in cui è stata concepita? Le voci di addetti ai lavori si alternano con le testimonianze di un popolo che vive, quotidianamente, accanto a una polveriera di contrasti e odio, cercando di elevare il proprio spirito appassionandosi ai segni grafici e tratti di un’arte nuova la cui stessa paternità non è certa: sono davvero di Banksy le opere tolte da mani rapaci alla vista della strada?