Willem Dafoe è un tormentato “Van Gogh – Sulle soglie dell’eternità”. Al Cinelandia




Il genio indiscusso, lo stile unico e lo spirito torturato hanno fatto di Vincent Van Gogh una figura mitologica che ancora oggi suscita fascinazione e curiosità. Tutt’ora si cerca di capire da dove derivassero le sue peculiari scelte pittoriche, quali siano state le condizioni per cui è stato esploso il colpo che ne ha reclamato la vita, chi fossero i soggetti da lui ritratti. Domande a cui può dare qualche risposta il film in programma al Cinelandia di Cà Merlata da giovedì 3 gennaio “Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità” del regista Julian Schnabel con Willem Dafoe nella sofferta parte del pittore.
Il film ripercorre la vita di Vincent dal burrascoso rapporto con Gauguin a quello viscerale con il fratello, fino al misterioso colpo di pistola che gli ha tolto la vita a soli 37 anni lasciando in eredità capolavori che hanno fatto la storia dell’arte e che continuano ad incantare il mondo intero. “Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità”, pur inserendosi in un filone cinematografico già nutrito, riesce ad aggiungere contenuto a un tema trattato anche da recenti pellicole dedicate al genio olandese.

Vincent Van Gogh vive in un mondo pregno di colore ma afflitto da una profonda solitudine. Pur manifestando un profondo desiderio di appartenenza non può fare a meno di sentirsi diverso dagli altri, isolato. A sconvolgere la sua prospettiva è la seduzione dell’amico Paul Gauguin il quale lo spinge in un vortice di stimoli creativi che finiranno a condurlo in Provenza, alla ricerca della luce perfetta per i suoi quadri. Nel sud della Francia Van Gogh vive l’ultimo periodo della sua vita, quello più produttivo e turbolento. Ormai lontano dal fratello Theo e abbandonato da Gauguin, il pittore infrange la propria psiche e mutila il suo corpo. Ricoverato, si rifugia nell’atto creativo – in 80 giorni produsse 75 tele – generando molti dei suoi lavori più riconoscibili e amati, seppur intrisi di palpabile dolore. Stravolta dalla pressione emotiva, la vita di Van Gogh viene infine reclamata da un duo di ragazzini che gli spara, quasi per gioco, in un campo di grano. È il 1890 e Vincent, trentasettenne, esala l’ultimo respiro.
L’intenzione del regista Julian Schnabel non era evidentemente quella di creare un documentario, quanto quella di rappresentare uno spaccato della vita di un grande artista. Come fu per classici del cinema quali Amadeus e Lisztomania, anche “Sulla soglia dell’eternità” rinuncia a una narrazione storicamente accurata pur di trasmettere stimoli sensoriali vividi e memorabili. In tutta probabilità il vero Van Gogh si è suicidato e sicuramente non ha espresso a voce alcune dichiarazioni che gli sono state qui attribuite, ma tutto scivola in secondo piano poiché la pellicola si fa influenzare dalle testimonianze scritte senza mai esserne asservita.

Rinunciando al fardello dell’accuratezza storica, Schnabel ha potuto tessere un’interessante interpretazione di come Van Gogh potesse percepire il mondo. Sfruttando il pittore olandese come mezzo, egli mira però a un traguardo più alto: immergere il pubblico in una atipica visione del reale, offrendo prospettive sconvolte e riscoperte dagli occhi di chi è benedetto dall’estro creativo. Concretamente quest’ambizione si manifesta nella pellicola sotto forma di colore e tono. Ogni panorama cambia identità a seconda di come viene colpito dalla luce, ogni stanza si tramuta in base alla dominante cromatica con cui viene registrata, ogni fotogramma diviene a suo modo un’opera d’arte in cui il creativo non è più Van Gogh, ma Schnabel stesso.