Frontaliere di Lipomo in carcere per un delitto di mafia di 30 anni fa: ecco chi è



Un frontaliere ben radicato nel nostro territorio. il brutale omicidio a Gela nel 1988 per interessi economici.
Sono Cataldo Terminio e Angelo Bruno Greco, residente a LIpomo, le due persone arrestate stamane dai carabinieri del Ros per l’uccisione del barista Giuseppe Failla, avvenuta il 9 ottobre del 1988 all’interno del suo locale a Gela. Il delitto sarebbe da inquadrare nella faida tra esponenti di Cosa Nostra e della Stidda che in quegli anni insanguinò Gela. L’inchiesta, condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta, si è avvalsa delle dichiarazioni di diverso collaboratori di giustizia come Leonardo Messina, Ciro Gaetano Vara e Salvatore Ferraro. Secondo gli inquirenti ideatore ed esecutore materiale dell’omicidio sarebbe stato Cataldo Terminio, uomo d’onore della famiglia di San Cataldo, con il supporto di Angelo Palermo, che avrebbe avuto il compito di autista del commando, e di Angelo Bruno Greco, appartenente alla famiglia di Gela, quale basista. Greco abita a Lipomo da diversi anni: lavora in svizzera come frontaliere. Stamane i miliktari di Como lo hanno fermato a casa prima di uscire di casa e gli hanno notificato l’ordinanza.,
L’omicidio sarebbe scaturito dalla volontà di Cataldo Terminio di vendicare la morte del padre Nicolò, uomo d’onore di Cosa Nostra, ucciso in un agguato a San Cataldo il 17 aprile 1982 dagli appartenenti al gruppo dei cosiddetti “stiddari selvaggi” di cui Giuseppe Failla era espressione. Un clan criminale formato da fuoriusciti da Cosa Nostra a seguito di contrasti per la spartizione dei proventi di alcune estorsioni, che negli anni ’80 ingaggiò una sanguinosa faida fatta di omicidi incrociati con gli appartenenti della famiglia mafiosa di San Cataldo.
Dalle dichiarazioni dei pentiti è emerso inoltre che Giuseppe Madonia, rappresentante provinciale di Cosa Nostra a Caltanissetta, avrebbe dato il suo assenso all’omicidio appoggiando la linea di Cataldo Terminio. Quest’ultimo, nonostante una lunga detenzione, occuperebbe ancora posizioni di vertice nell’organizzazione, come accertato nel corso del Processo Kalyroon