Scienziato e mecenate di Volta: il fisico Giulio Cesare Gattoni (1741-1809).

Noto agli specialisti, ma non forse al grande pubblico (come meriterebbe) questo poliedrico esponente della vita scientifica comense di fine Settecento verrà rievocato in una conferenza di Alessandra Mita Ferraro della Università e-Campus di Novedrate, GIOVEDI’ 28 NOVEMBRE alle ore 18 presso il Salone Musa della Associazione Carducci, viale Cavallotti n° 7.
Del Gattoni si metteranno in luce molti aspetti, tanti quanti i suoi interessi interdisciplinari, puntando l’accento sulla profonda devozione per l’amico, minore d’età, Alessandro Volta (nacque quattro anni più tardi nel 1745), di cui favorì gli studi mettendo a disposizione il proprio Gabinetto scientifico con gli strumenti da egli stesso inventati (“non risparmiò … spesa alcuna per macchine e per esperienze lunghe e molteplici”, scrisse di lui Giambattista Giovio, insistendo sul fatto che Gattoni superò ogni ostacolo per facilitare il lavoro di Volta).
Quasi compagni di scuola, i due scienziati, si frequentavano dunque fin dall’infanzia e amiche erano le famiglie di provenienza. Di Volta, Gattoni lascia un interessante profilo di gioventù: “ Come di me minore, nelle Scuole mi prese alla Rettorica l’ultimo mio anno 1758 e ci restò tre anni. Sembrava allora dissipato e che non si applicasse molto, ma faceva egli in un’ora ciò che a me costava tre giorni… Una prova del raro suo talento fu una composizione di circa 800 versi latini sopra le stagioni, che eseguì in breve spazio di tempo, e la recitò senza scordare una sola parola”.
Ma anche Giulio Cesare fu dotato di formidabile memoria di cui godette proverbialmente per tutta la vita. Giudicato da Giambattista Giovio di modi eleganti, nella persona leggiadra, fu tuttavia poco amato, anzi quasi disconosciuto dall’entourage scientifico contemporaneo, tanto che Marsilio Landriani (1784) omise volontariamente di segnalare nella sua dissertazione sui conduttori elettrici, il parafulmine che primo in Italia (1768) Gattoni aveva collocato sulla sua casa di Como (ma altro sul campanile della chiesa della casa di campagna a Maccio). Lo stesso Volta, ormai celebre e cattedratico, si mostrò tiepido e poco riconoscente verso il suo mecenate.

Un carattere spigoloso e polemico lo rendeva “mal sofferto” da quasi tutti i suoi colleghi perché imprudente si lasciava sfuggire con quelli delle verità assai incomode: “non so adulare” diceva di se stesso.
Canonico della Cattedrale, gesuita, filosofo, naturalista (ebbe anche una bella raccolta di storia naturale: minerali, pietre, conchiglie, uccelli che imbalsamava egli stesso, cui affiancò un orto botanico), collezionista di strumenti guerrieri (armi da fuoco, corazze, scudi, elmi, maglie di ferro) (molti dei suoi oggetti sono conservati presso il Liceo Classico Volta di Como), pur appartenendo alla fazione conservatrice della città, dichiarato oppositore del pensiero e del regime repubblicano instaurato dalla Cisalpina, fu tuttavia a suo modo all’avanguardia, addirittura un femminista ante litteram, auspicando nel suo iperbolico Testamento (una ucronia), pubblicato in Como nel 1802 nel quale pur dichiarando di avere risparmiato a forza di stretta economia in tutta la sua vita solo 500 lire dell’epoca, fingeva di stanziare, fra gli altri legati, frutto di un futuro impiego ad interesse di quel modesto capitale, bilioni e bilioni di lire per l’istituzione di quarantamila case di lavoro in cui si cominciasse “di meglio pagar i lavori delle donne… [che ] godranno una maggior stima appresso gli uomini. Poiché, egli giustamente sosteneva, che “Eranvi in passato molte case dove gli errori delle donne si punivano; frattanto che i loro seduttori impudenti sicuri si facean beffe delle ingannate…” (le case sarebbe state da lui denominate “Ospizio degli Angeli”).
L’apertura verso il mondo femminile sfruttato e ad arte malgiudicato non gli impediva di tuonare contro le mode del vestire introdotte fra le donne dall’avvento dei Francesi nel suo Discorso sopra l’odierna moda del vestire delle donne. È una filippica contro la moda moderna insinuatasi anche nelle campagne che rivela tuttavia in lui un profondo senso dell’osservazione: descriveva le donne che oggi passeggiano “col petto,collo e braccia nude, con vesti spaccate davanti trattenute appena da rari nastri o di stoffe trasparenti sopra la nuda pelle o sopra sottane di colore imitante la carne viva, o con vesti fluttuanti rannodate soltanto dove possa spiccare la vera o posticcia protuberanza del seno muliebre, ebbenché di sottile stoffa coperto, con vesti in fine tirate a bello studio sul braccio, per far pompa d’altre parti più nefande del corpo”.
Egli definisce la Moda il più pazzo e stravagante di tutti i tiranni.
Una posizione conservatrice, la sua, che lo induceva a prendere le difese delle insultanti voci contro i Bigot o i Cagot, cioè contro quelli che piegano le ginocchia innanzi all’altare, ma che, tuttavia (lui canonico e gesuita), non gli impediva di ironizzare contemporaneamente contro l’indole di coloro che Nihil innovetur tanto limpida da condannare, nella celia costante,i pubblici amministratori per i quali “melius est accipere quam dare”. NIHIL INNOVETUR, appunto!
Gattoni è autore anche di un interessantissimo e voluminoso Giornale Gallo Cisalpino scandaloso che contiene i fatti accaduti entro le mura della mia patria dal 1796 al 1801 con alcune note profetiche dal 1789 in avanti, manoscritto conservato alla Biblioteca Comunale, che ci consegna uno spaccato arguto, analitico e insostituibile della Como del periodo.
Negli ultimi anni della sua vita, colpito da malattia alla gola, aveva adottata una andatura da gambero per affaticare di meno i polmoni durante le ascese ai monti alle quali non voleva rinunciare. Giovio lo descrive allora: vegliardo, mezzo pelato, nascosto già nelle ombre di morte, gonfio, sordastro, sciancato, affaticato nel parlare, piangente negli occhi sempre e sudante e sofferente vertigini sol che s’abbassi per colpire una zanzara che gli punzecchi una gamba e ciò nonostante pur se la passa lieto col suo gorgozzule… Gli ultimi mesi non riuscì più né a scrivere né a leggere. Morì nella notte e fu trovato privo di vita nella sua camera solo nella tarda mattinata del 30 marzo (1809). Come avrebbe, del resto, potuto godere di numerosa compagnia un uomo dal carattere spigoloso, giudicato dai contemporanei: mecenate, appassionato, bizzarro, forte, versatile, di vivace fantasia, calunniatore, visionario, ma ad ogni modo sempre al di fuori degli schemi del compagno sornione e cortigiano?
ALESSANDRA MITA FERRARO, laureata in Filosofia presso l’Università degli Studi di Firenze con Cesare Vasoli e in Storia presso l’Università della Sapienza di Roma con Corrado Vivanti, ha conseguito due dottorati di Ricerca: uno in Italianistica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e uno in Storia e Dottrina delle Istituzioni presso l’Università dell’Insubria.
Studiosa di Matteo Palmieri (1406-1475) ha pubblicato una sua biografia intellettuale (Genova 2005). Si occupa ora del dibattito culturale del secolo dei Lumi, dell’Età napoleonica in Lombardia e della storia di Como, di Alessandro Volta (1745-1827) e di Giambattista Giovio (1748-1814) di cui ha pubblicato il Diario del viaggio in Svizzera (Napoli, 2012), molti articoli fino alla recente profonda e completa biografia “Il diritto e il rovescio-Giambattista Giovio (1748-1814). Un europeo di provincia nel secolo dei Lumi”, Il Mulino, Napoli-Bologna, 2018.