Attraverso lo specchio, di fronte alla soglia: la raccolta di Massimo Del Prete

Le poesie di Massimo Del Prete
Cosa ci aspetta oltre la soglia e come si sta in bilico tra il dentro e il fuori? Ce lo racconta Massimo Del Prete in questa puntata de Le Api dell’Invisibile, ma anche e soprattutto nella sua raccolta d’esordio “Soglie” edita per Giuliano Ladolfi Edizione [Gennaio 2018, collana Perle Poesia].
Massimo è nato nel 1993 a Taranto, oggi però vive a Milano e sta per conseguire una laurea in Lettere Moderne, dopo ben due triennali nei campi della chimica e della letteratura. “Soglie” al plurale è una scelta di titolo ben più che consapevole: la raccolta di Massimo è infatti –ironicamente – una strada che si snoda all’interno, cercando una via d’uscita, un modo di andare oltre, fino ad arrivare a quel liminare che pare invalicabile. La soglia appunto, che è separazione dall’altro, ma anche luogo verso cui guardare dal sé all’altro, attraversando lo specchio del nostro riflesso solitario. E la strada che porta alla soglia, senza mai superarla, si rivela variegata, accidentata, densa di novità e svolte, così come lo è la lingua in cui è raccontata.
Il linguaggio poetico di Massimo, un po’ come la sua esperienza di vita, è un linguaggio in bilico tra due poli, posizionato sul punto d’osservazione più alto e pronto a gettarsi nella profondità di una ricerca della parola che lascia poco al caso. Il valore aggiunto della sua raccolta è duplice: una lingua da assaporare e un racconto da seguire. Di verso in verso, di sezione in sezione, il lettore è invitato a sbirciare furtivamente oltre la pagina, dentro alla parola che diventa viva testimonianza della vita dietro alla poesia. Forse la soglia è la poesia stessa, luogo ambiguo per eccellenza dove vita e sogno si riflettono, mentre quotidianità e illusione giocano a rincorrersi con gli enjambement e a farsi eco tra i versi. Una raccolta di poesie in cui specchiarsi per ricordarsi delle proprie soglie mai valicate o per gioire di quei ritorni al di qua della soglia, che spesso sono anche nuovi inizi.
Questa è una rubrica dedicata a tutti coloro che scrivono, in particolare poesie. Se volete venire a raccontarmi il vostro progetto, la vostra scrittura e le vostre parole, scrivete a martinatoppi43@gmail.com: “Le api dell’invisibile” vi aspettano!
 
«…il nostro compito è quello di compenetrarci così profondamente, così dolorosamente e appassionatamente con questa terra provvisoria e precaria, che la sua essenza rinasca invisibilmente in noi. Noi siamo le api dell’invisibile. Noi raccogliamo incessantemente il miele del visibile per accumularlo nel grande alveare d’oro dell’Invisibile.» R. M. Rilke

Poesie di Massimo Del Prete
IN SALA DA PRANZO
Il tuo castello, fata antica,
è tutto un prezioso, museale
polverio che vibra al mio saluto
e poi si ricompone, in pace.
Ma questo odore di pane stantio,
di pellicce resuscitate e macchie
d’umido negli angoli invisibili
infine ha colto te
persino te, Morgana bionda?
“È il peso del tempo, piccino mio”
mi sorridi all’orecchio, sotto
i plaid polposi e scoloriti
e sento che minaccia solo me,
che risparmia i tuoi acciacchi,
la tua mente e qualche artrosi.
E allora tu parlami ancora,
tenera ma indomita mangiatrice di mondi,
e sciogli tutta la tua storia
ch’io sgrani in zucchero questo tremore giovane
e lo abissi nel nostro caffè
che ieri m’hai fatto, che oggi rifai:
e se t’ascolto sempre
e sempre rido negli occhi imbellettati,
da qualche parte so
che non svaniamo mai.
ABRACADABRA
‘Non puoi pensare il tempo prima
del Big Bang’ dissero in tv. Ebbero torto.
Sta lì l’ultima, l’estrema ritorsione
del gomitolo, del tempo che visse se stesso,
prima, della parola che sapeva dire veramente
la parola che nel canto fece il mondo
lo esplose in un acuto e glissò le nostre
vite – continuammo noi ma poi
dimenticammo e i nomi si dispersero.
Oggi esistiamo nel dopo, nell’inverso del processo
in una vita che si è fatta letteratura
disfatta in virgole, grafemi, stanghette
senza autorità che fingono d’immaginarla
questa vita non più vissuta non ricordata
– come me e te, i nostri sogni che
non osammo dire né creare
e il loro canto breve in balìa
dei pronomi di un condizionale.
PRIMA VOLTA?
Nacqui nel 2011, in settembre,
piuttosto lontano da qui, solo
una strada tra il grano tagliato
piegava sensuosa i suoi lombi…
…ma dopo il tramonto, le piazze
urlanti, un clamore folkloristico
di vicoli, goliardi, segnali
non captati dai miei radiofari,
sguardi non colti ancora,
colori troppo vivi, voci scalmanate
nelle parole tue, di tutti,
incomprese sempre.
Oggi, un po’ di tempo dopo,
non ho che cinque anni
e ho gattonato in là, di là,
più oltre ancora eppure
è presto, è troppo presto… e
non nel sogno non
nel ricordo è varcata
la soglia del mondo che trottola
in là, di là, più oltre ancora.