Lario e dintorni: 5 (cinch) posti nelle canzoni di Davide Van De Sfroos

20 agosto 2020 | 17:36
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Lario e dintorni: 5 (cinch) posti nelle canzoni di Davide Van De Sfroos
Lario e dintorni: 5 (cinch) posti nelle canzoni di Davide Van De Sfroos
Lario e dintorni: 5 (cinch) posti nelle canzoni di Davide Van De Sfroos
Lario e dintorni: 5 (cinch) posti nelle canzoni di Davide Van De Sfroos

Viagi’n söl làac,
cumè una musca’n söl vedru,
vo’ inanz e indrèe
de Belàas a Buvedru

nessuno ha mai cantato il lago di Como in modo così autentico come Davide Van De Sfroos. In molte sue canzoni ci sono riferimenti a luoghi che rafforzano quello spirito di appartenenza per cui molti (moltissimi), fan di Davide, lo amano a prescindere dalla sua musica. Il localismo, inteso come apprezzamento culturale del luogo e delle relazioni che in esso avvengono, è un elemento di identificazione e distinzione rispetto ad altri tipi di appartenenza sociale che sta facendo discutere i sociologi negli ultimi anni; lasciamo a loro l’interpretazione di questo fenomeno direttamente connesso alla globalizzazione e saltiamo alla conclusione (o almeno una delle conclusioni), postulata da The need to belong, il saggio di Roy. F. Baumeister e Mark R. Leary  che ha dato il via agli studi sull’argomento: secondo l’ipotesi di appartenenza mentre si procede rapidamente verso processi variamente denominati internazionalizzazione, mondializzazione, globalizzazione, le persone creano prontamente delle relazioni sociali e resistono alla dissoluzione dei legami esistenti.  In pratica sentire di essere parte di qualcosa è l’attribuzione di sentimenti positivi.

5 cose davide van de sfroos

Ma torniamo al nostro Davide Van De Sfoos che con le sue canzoni “allena” la nostra resilienza al mondialismo. La sua El Fantasma Del Laac, pubblicata solo in versione live, è una raccolta di paesi e frazioni del lago di Como: il fantasma si diverte a stremii i dunètt
de Cadenabia a Tremèzz e, perchè no, a cùreg adrèe ai tusanètt de Dumàas, salvo poi venir inseguito dai carabinier de Argegn, alla fine ghe tuca cambià làac e finii sö a Purleza. Tanti altri brani De Sfroos nominano luoghi del lago, eccone 5 che forse non tutti conoscono:

Ad esempio Colmenacco il  Culmenàcch della canzone “Lo Sciamano” dall’album “Pica” (2008). Il rito catartico è Briisa de Néss, erba de Buffalöra, sabbia de Fuentes e un trönn de Culmenàcch. Güla, güla… güla fina a Tresenda, gula sö in Valcavargna e al Pian del Tivàn (Brezza di Nesso, erba di Buffalora, sabbia di Fuentes e tuono di Colmenacco. Vola fino a Tresenda, vola su in Valcavargna e al Pian del Tivano).

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Il monte su cui brontola il tuono è Colmenacco,  uno splendido davanzale sul Lago di Como a 1050 metri di altitudine, affacciato, con ampia vista, su Argegno e sulla Valle d’Intelvi. La salita più frequentata avviene partendo da Veleso senza grosse difficoltà. Se, invece, si parte da Carvagnana, frazione di Lezzeno, sulla strada verso la vetta, si incontra il sasso del Calvarone, un grande masso di ghiandone trasportato e abbandonato dai ghiacciai quaternari. Il sasso è in una stupenda posizione panoramica a circa 920 metri di altitudine. Si presume che il suo nome derivi dal termine dialettale Calvrun, che ha due significati: dosso o calvario. Il Sasso del Calvarone misura 15 metri di lunghezza, 15 metri di larghezza e 19 metri di altezza; sul lato della roccia sono posizionate delle scalette per facilitare l’esplorazione della superficie, si raccomanda di usare sempre la massima prudenza, sulla superficie si notano alcuni incisioni e una curiosa vasca scavata nella roccia in epoca indefinita.

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La pietra Calvarone è anche conosciuta con il nome di Sasso del Diavolo, secondo una tradizione locale ogni volta che gli abitanti provavano a piantare una croce sull’enorme pietra, al primo temporale veniva abbattuta dai fulmini. A pochi passi dal Sasso del Calvarone si trova un altro masso erratico di dimensioni leggermente inferiori, conosciuto con il nome di Sasso Tassera.

Se decidete per un’escursione al monte Colmenacco non dimenticate di acquistare gli ottimi formaggini dell’agriturismo La Forcoletta (telefono 031 917190) che trovate sulla strada.

Scendiamo dalle montagne al lago cantando “La machina del ziu Toni”Varda cume bali bee. Cunti i anfibi e la cresta La barbeta de rasta E i topp soel giubètt Sunt el re della Zoca de l’oli. Nella canzone dall’album “Yanez”, Davide Van De Sfroos fa un viaggio immaginario a bordo di un vecchio catorcio fermo da anni nel fienile dello zio.

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La Zoca de l’oli nominata nel testo è l’insenatura del Lario entro cui è adagiata l’Isola Comacina. Proprio per la tranquillità della superficie liscia come l’olio, il luogo si è guadagnato questo appellativo. Ma non solo per quell. Nella “zocca” l’olio c’è davvero, fin dagli antichi romani le sponde del lago in questo punto venivano coltivate ad ulivi e ancora oggi in Tremezzina si produce un ottimo olio del lago di Como. Nel braccio di lago tra Sala Comacina e l’isola trovano un comodo rifugio molte imbarcazioni di diportisti che sostano qui, dove il rollio è minimo, a godersi il sole e il paesaggio. Unico momento in cui anche le placide acque della Zoca de l’oli diventano agitate è per lo spettacolo pirotecnico di San Giovanni, allora l’acqua si colora di rosso riflettendo l’incendio dell’isola e decine di barche si ammassano per ammirare o fuochi d’artificio.

torre del barbarossa ossuccio

A dominare dall’alto la scena c’è, da centinaia d’anni, la Torre del Soccorso anche conosciuta con il nome di Torre del Barbarossa- Collocata su uno sperone roccioso sopra l’abitato di Spurano, a 400 metri di altezza, corrisponde ad un’antica torre di segnalazione che era parte di un sistema fortificato più ampio, che comprendeva il castello dell’Isola Comacina e le strutture difensive di Sala, Lezzeno e Cavagnola. Nel XII secolo i comaschi, rivali degli abitanti dell’isola a quell’epoca alleati della città di Milano, colpirono a più riprese e resero inservibili le fortificazioni di questa zona. La Torre del Soccorso conobbe quindi per i successivi otto secoli un periodo di profonda decadenza e abbandono, terminato solo nel 1954 per iniziativa di Clemente Bernasconi, già direttore della Soprintendenza ai Monumenti della Lombardia. Acquistata l’intera struttura, l’architetto promosse una campagna di scavi archeologici e si impegnò a restaurare la torre con l’idea di farla rivivere sistemandovi la residenza estiva della propria famiglia. Nel 2011, grazie a un legato testamentario, la figlia Rita ha voluto lasciare la torre al FAI che la apre alle visite in occasione degli eventi FAI. La torre costituisce pertanto il terzo Bene del FAI sul Lago di Como, insieme alle vicine Villa del Balbianello e la casa-barca Velarca attualmente in restauro.

Davide Van De Sfroos è cresciuto in Tremezzina perciò è naturale che molte delle sue canzoni parlino di questa zona del lago, delle sue bellezze e delle sue leggende tra le quali spuntano spesso le streghe, anzi i strii  come “Nona Lucia”. Ociu fioe che la nona l’è una stria dice la canzone tratta da “Akuaduulza” (2005), Pulènta e sciguèta, la pentola stravàca La và a balà soe al Praa de la Tàca, ecco un luogo singolare che pochi conoscono.

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Una traduzione approssimativa potrebbe essere: “prato delle incisioni” in riferimento ai tanti segni nelle rocce lasciate dai fossili di “Conchodon”, grandi molluschi con conchiglie a due valve. Tutta l’odierna alta Italia nel Triassico era occupata da un mare tropicale nel quale vivevano i “Conchodon” che nella loro forma fossile hanno lasciato incisioni nelle rocce calcaree. Questi segni un tempo venivano interpretate come le impronte degli zoccoli delle cavalcature delle streghe che, secondo le dicerie popolari, usavano lanciarsi in diaboliche cavalcate su impervie pareti. In questa posizione isolata le streghe organizzavano i sabbah notturni . Ma al Praa de la Tàca tocca anche un’altra diceria, meno accreditata, che racconta di animali scesi dall’Arca di Noè. Insomma, il luogo emana un certo fascino, anche se le attuali condizioni non sono delle migliori, i terrazzamenti che scendono da metà costa fino all’abitato  e i rustici che una volta sono stati alloggi di allevatori, ora sono stati inghiottiti dal bosco, di praa ne è rimasto ben poco. Se volete dare un’occhiata al posto delle 7 streghe come da un racconto popolare di Mezzegra, preparatevi una dura salita di mezz’ora partendo dalla frazione di Bonzanigo.

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Già che ci siete fate una rapida visita anche al borgo storico di Bonzanigo ricco di sontuosi palazzi affrescati come Palazzo Brentano e la casa detta del Vescovo, testimonianza del successo delle famiglie locali, frutto dei commerci con il Nord Europa. Se è aperta, la Casa dei Presepi, sarà una sorpresa e non solo a Natale.

…e dopo Natale...podet mea scapàa del Carnevaal de Schignan. Il Carnevale di Schignano ha personaggi e riti codificati in centinaia di anni e Davide Van De Sfroos li ha raccontati in una canzone inserita anche nella colonna sonora del film “Benvenuti al Nord”.  Schignano è un paesino diviso in varie frazioni, che si trova sul lato a rovescio della Valle d’Intelvi. Il sabato ed il martedì grasso, si riempie di visitatori per il Carnevale che mantiene ancora oggi il carattere antico e che si caratterizza per le splendide maschere lignee.

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Come da consuetudine locale, il Carnevale di Schignano prende il via la mezzanotte della notte tra il 5 e il 6 gennaio: da quel momento è un susseguirsi di preparativi che sfoceranno nelle sfilate e nei cortei di febbraio e marzo. Tutta la pantomina si basa sulla contrapposizione di due personaggi principali:i belli e i brutti. I primi indossano raffinati vestiti, molto colorati e ricoperti di pizzi e scialli. I cappelli sono ornati da fiori e animali in carta e tessuto e impreziositi da fiocchi e penne di fagiano. I brutti, invece, hanno un aspetto inquietante: indossano vesti povere e sporche e trasportano oggetti di uso quotidiano come scope, valigie e ombrelli rotti.

Nel corteo sono presenti anche i “sapör” (zappatori) che rappresentano i primi abitanti della valle e indossano pelli di pecora e una folta barba bianca. Ad animare l’allegra sfilata anche il Mascarun, la maschera del ricco signorotto locale, e la Cioca, sua moglie, unico personaggio autorizzato a parlare di tutta la sfilata, che si lamenta continuamente del marito. Responsabili dell’ordine durante la manifestazione sono i “Sigurtà” che si pongono alla guida del corteo. Queste maschere conducono i partecipanti alla sfilata fuori dal paese di Schignano fino alla località di Cima dove sta il “Carlisepp”, un uomo mascherato di cui nessuno conosce l’identità. Il Carlisepp, alla sera, un fantoccio con le sue fattezze viene collocato su un rogo e fatto ardere: il Carnevale muore e ci si avvia verso la Quaresima.

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Per assaporare un po’ dello spirito del Carnevale si Schignano l’associazione La M.A.SCH.E.R.A potrà fornire materiale e, magari, farvi visitare qualche laboratorio di mascheraio. Telefoni  3392650424 – 3497596409 – 031 822003  e-mail   info@lamascheraschignano.it, inoltre l’associazione promuove ogni anno Boscultura, un raduno di scultori in legno che per una settimana lavorano in paese e lasciano le loro opere nel museo a cielo aperto il “Sentiero delle Espressioni“, qui sono visibili decine di sculture lignee sorprendenti

Abbiamo iniziato cantando di un monte e finiamo in vetta ad un altro. Il piccolo blues “La furmiga”, contenuto nel primo, introvabile, album dei De Sfroos “Manicomi”, guarda il mondo dalla micro prospettiva della formica, perciò Per me un sass l’è comè’l Galbiga
perché sunt una furmiga.

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Un sasso è come il monte Galbiga, una delle vette più alte della sponda occidentale del Lario, 1698 metri. Dalla vetta nelle giornate terse si possono vedere ben sei laghi in fila: da sud-ovest a nord-est il Lago Maggiore, il lago di Muzzano, il lago di Lugano, il lago del Piano, il lago di Como e il lago di Mezzola. Inoltre è ben visibile a nord la cittadina di Porlezza, il monte Grona e a sud la val Perlana e la val d’Intelvi. Non manca una bella vista sulle Alpi tra le quali spicca il Monte Rosa. Sulla cima del Galbiga sono posti una croce,una statuina della Vergine, un altare ed uno spazio adibito a chiesa, inaugurati e benedetti dal cardinale Carlo Maria Martini, più sotto si trova l’osservatorio astronomico gestito dal Gruppo Astrofili Lariani.  Per l’ascesa al Galbiga i più ardimentosi partono da Colonno in riva al lago, chi vuol risparmiarsi un bel po’ di salita prende la funivia da Argegno a Pigra e in un paio d’ore arriva in vetta. Ma in auto si può arrivare tranquillamente al rifugio Boffalora e da lì si sale a piedi lungo la strada militare fino all’Alpe di Ossuccio, poi all’Alpe di Lenno ancora utilizzate dagli allevatori (comprare formaggi), da qui la vetta del Galbiga non è lontana, ma il sentiero è più scosceso.

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Nella sella tra il Galbiga e il Monte di Tremezzo c’è il rifugio Venini-Cornelio dove si possono gustare ottimi piatti accompagnati da una vista a strapiombo sul lago di Como. Non manca nemmeno un cannone anticarro 47/32 Mod. 1935 del Regio Esercito a ricordarci che da qui passava la linea difensiva Cadorna di cui sono ben visibili trincee e piazzole per i pezzi d’artiglieria che, per inciso, non spararono mai un colpo in quando nessun nemico si paventò da quella parte.

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Con questi 5 consigli abbiamo voluto omaggiare Davide Van De Sfroos che raccontando il lago, le sue genti e tradizioni ce lo ha fatto conoscere ancora di più tanto da sentirlo amico…o amica? Si perchè anche Davide, nonostante tutti dicano che per la sua forma il Lago di Como è come un uomo a gambe divaricate, non è così sicuro sul sesso del lago

                                             Disen tutt che il laagh de Comm l’è fà cumè un’ omm, ma me sun sicur che l’ è una dona

Ta ghett da faagh el fiil se te voret sultàagh so, perché sota a la gona ghè la brona

(Il costruttore di motoscafi 2008)