Cinque luoghi strani e misteriosi sul lago di Como





Di miti e leggende abbiamo scritto e, si sa, quelle storie, che fanno parte della tradizione di un luogo, mischiano il reale con il fantastico e, anno dopo anno, racconto dopo racconto, di reale non resta quasi nulla. I cinque che vi elenchiamo oggi, invece, sono luoghi o fatti del lago di Como le cui evidenze sono ancora lì da vedere, ciò nonostante intorno ad essi aleggia un po’ di mistero. Strano è già il fatto che ben tre siano nei dintorni di Torno.
Il Santo Chiodo e le sette serrature
Torno, sul lago di Como, è un luogo incantevole e ricco di storia. Proprio qui è custodita una reliquia quasi dimenticata, custodita con devozione dai fedeli del paese, ma, misteriosamente, poco ricordata altrove. Eppure si tratta di uno dei chiodi della croce di Cristo. Il luogo dove è conservata è la Chiesa dedicata a San Giovanni Battista che sorge nella parte più antica del borgo, edificio del dodicesimo secolo costruito a cavallo tra il Romanico e il Gotico, restaurato e ampliato nel 1494.

Fu nel 1099 che un chiodo della Croce di Gesù approdò sulle sponde del Lario, ma la storia ebbe inizio molto lontano, proprio nel Medio Oriente. Un arcivescovo germanico che aveva preso parte alla prima Crociata, dopo la presa di Gerusalemme, era entrato in possesso della Sacra Reliquia.
Dopo aver attraversato l’Italia nel viaggio di ritorno verso le sue terre, l’alto prelato fece tappa a Como con l’intenzione di risalire in barca il Lario per raggiungere l’Engadina e poi la Germania. Ma a Como all’epoca si consumavano gli scontri tra i fedeli della Santa Sede e i sostenitori di un vescovo simoniaco eletto da Enrico IV così i viaggiatori provenienti dalla Terra Santa scelsero di recarsi a Torno, allora borgo fiorente quanto Como, per trascorrere la notte al sicuro e lontano da eventuali pericoli. Il mattino seguente riprese la navigazione, ma subito si alzò una forte tempesta che lo obbligò a rimandare la partenza.
Tornata la bonaccia, ripeté il tentativo, ma immediatamente si scatenò un’altra bufera e così per altre volte ancora. Ogni tentativo di prendere il largo si susseguirono, ma tutti invano. L’arcivescovo scorse, allora, in quegli avvenimenti un preciso segnale divino che lo invitava a lasciare in paese le reliquie di cui era entrato in possesso, così il Santo Chiodo venne lasciato in paese al termine di una cerimonia solenne alla quale partecipò tutta la popolazione di Torno.

L’autenticità del Santo Chiodo sarebbe stata confermata da documenti scritti andati perduti durante il sacco di Torno del 1522 perpetrato dai comaschi, in quell’occasione il Santo Chiodo venne trafugato ad opera di un soldato di ventura di origini bergamasche. Grandi sciagure si abbatterono, però, dopo il furto sul ladro e la sua famiglia, convinto che tali disgrazie dipendessero dall’ illecito possesso delle reliquie, il soldato le riportò immediatamente a Torno.
Le reliquie, secondo recenti ricerche storiche, non sarebbero state depositate nella Chiesa di San Giovanni, dove si trovano attualmente, ma nella Chiesa di Santa Croce che si trovava nell’odierna piazza Caronti. Furono trasferite solo nel 15° secolo. Da allora il chiodo è custodito nel retroaltare della chiesa, in un’arca in noce chiusa con sette serrature. Fino a trent’anni fa una chiave era data al prete, altre sei a famiglie importanti del paese. Oggi sono tutte in canonica
Nei secoli vi è stata un’enorme devozione nei confronti della reliquia. Esistono documenti che testimoniano grandi momenti di pellegrinaggio fino al 1899. Poi lentamente la memoria si è persa
Oggi vi sono due momenti molto partecipati nella vita del paese. La prima domenica di maggio, quando la reliquia viene portata in processione, e l’ultima domenica di giugno, in onore di San Giovanni Battista, unico momento dell’anno in cui il chiodo viene estratto dall’arca e immerso in una conca di rame contenente acqua. Acqua poi distribuita a malati e infermi. (da Il Curiosone)

La chiesa dedicata a San Giovanni Battista, sorge nella parte più antica del borgo di Torno, costruita nel XII secolo in stile gotico-romano presumibilmente sopra un precedente edificio di culto.Lo splendido portale è scolpito in marmo a opera di scultori della scuola dei Rodari (XV secolo), le lavorazioni sono molto simili alle sculture che troviamo sul Duomo di Como.Il campanile costruito in muratura alto e possente è in stile romanico. La chiesa di San Giovanni è composta da un’aula a unica navata divisa in sei campate con archi ogivali caratteristici dello stile gotico, l’interno è ricco di dipinti e sculture, affreschi del XVII della scuola del Fiammenghino e porzioni di muri affrescati nel XV secolo. Da segnalare una tela di Giovanni Battista Trotti detto il Malosso raffigurante la Conversione di San Paolo.

I massi avelli, a cosa servivano?
Rimaniamo a Torno, ma lasciamo il paese e prendiamo l’ampia mulattiera acciottolata che procede in leggera salita, affiancata da campi terrazzati e vecchi cascinali e offre vasti scorci panoramici sullo scenario del lago, qui, dopo aver superato un arco in pietra, la Porta Travaina, di probabile origine romana, troveremo le indicazioni per trovare alcuni curiosissimi reperti archeologici: i massi avelli. Distribuiti all’interno di un fitto bosco, sono massi erratici del quaternario di serizzo ghiandone nei quali sono stati scavati con cura degli incavi, una sorta di vasche ben realizzate, la più grande misura oltre 180 cm. per 80. Oggi se ne trovano cinque in un raggio di circa 1,5 kilometri, sono l’Avello del Maas, l’Avello di Rasina, l’Avello delle Piazze, l’Avello Negrenza, l’Avello delle Cascine di Negrenza, probabilmente erano più numerosi, ma, nei secoli, alcuni potrebbero essere stati usati come materiale da costruzione.

La vera e propria funzione degli avelli non è accertata, si pensa fossero delle sepolture risalenti all’epoca preistorica. Ma il dubbio permane, com’è che di questo popolo antico ci sono pervenuti solo questi “sarcofagi”? Avevano forse un culto dei morti così avanzato da costruire queste vasche ben levigate nella nuda pietra? Inoltre nessun avello è stato ritrovato con all’interno resti di ossa od oggetti di culto. Ma soprattutto avelli come quelli di queste zone (ce ne sono alcuni anche nel lecchese), non è possibile trovarli in nessun’altra parte d’Europa. (da luoghimisteriosi.it)

Già che siete sul sentiero degli avelli, quando siete al terzo, quello di Negrenza, si prosegue sul sentiero nel bosco e in circa 15′ incrociate la mulattiera che sale all’alpe Piazzaga ( 550 m.). Qui c’è anche un crotto dove potrete fare sosta per il pranzo. Da Piazzaga la mulattiera prosegue per il Montepiatto (610 m.), un grazioso pianoro con un pugno di case, per lo più abitate solo nel fine settimana, il cui punto più suggestivo è senza dubbio lo spazio che circonda la chiesa e da cui si gode una vista bellissima su tutto il lago. Poco si sa sulla storia di Montepiatto, di certo c’era il convento in cui le Monache vissero e operarono tra il 1507 e il 1598.
Per tornare a Torno, se non si vuole rifare lo stesso sentiero dell’andata, si prende la scalinata che scende diretta in paese, circa a metà del percorso si incontra la “Roccia di s. Carlo Borromeo” che secondo la leggenda il santo utilizzò per spiccare il volo insieme alle monache dell’antico convento di Montepiatto che aveva salvato dalla peste nel 1598, e giungere così nel più breve tempo possibile al Sacro Monte di Varese, dove sorgeva la casa madre delle suore. Arrivati poi quasi in prossimità dell’abitato si incontra sulla destra una parete rocciosa nella quale è presente una fenditura che ricorda la forma di una mano: anche in questo caso la leggenda racconta di come s. Carlo abbia appoggiato la sua mano sulla roccia per far sgorgare limpida acqua e abbeverarsi prima della partenza.

Castel d’Ardona, il sogno del Fratino
Ancora da quella parte del lago di Como, ma più in quota, troviamo Castel d’Ardona, un luogo che ha una storia, quantomeno, strana alle spalle. Il nome di castello ci sta tutto, anche se l’edificio che Angelo Ruspini fece costruire a fine ‘800 in posizione dominate sulla città e sul lago, aveva l’aspetto di una fortificazione medioevale, ma in un’epoca ben diversa.
La famiglia Ruspini è un’importante e nobile famiglia di Torno, che era presente anche nelle province di Bergamo e Varese. Tra i Ruspini di Como ci fu Giovanni Battista Ruspini, barometraio, che nella seconda metà dell’Ottocento decise di trasferirsi a Toulouse per motivi di affari. In Francia nacque, nel 1870, Angelo Ruspini. Dopo essersi arricchiti, i Ruspini rientrarono a Torno, qui il padre Giovanni Battista amava portare il figlio Angelo a fare lunghe passeggiate sul monte Ardona. Si dice che proprio su questo monte Giovanni Battista disse al figlio: “Angiulìn, tì in quel pòst chi, che l’è ùl pusée bèl del laag, quand te sarèe grand, te dévet custruì un castél”. Angelo, detto il Fratino, prese in parola il padre e, nel 1894 a soli 24 anni, cominciò a costruire il castello disegnato e progettato da lui proprio sul cucuzzolo. Il Castel d’Ardona è quindi una costruzione piuttosto recente, risale appunto al 1894 e, per tutta la fine dell’800 fino al secondo dopoguerra, dominò i monti lariani, era infatti visibile da Villa Olmo e da molte zone del lago.
La costruzione era di modeste dimensioni, formata da quattro torri merlate in pietra lavorata e una copertura di lastre di piombo a proteggere il castello dalle intemperie. Visto il luogo isolato e impervio erano state costruite delle vasche per raccogliere l’acqua piovana che, dopo essere filtrata, veniva recuperata con delle pompe manuali per usi domestici. Non molto distante c’è ancora una piccola sorgente che forniva acqua potabile. Nel giardino del Castello Ruspini fece erigere anche due cippi: uno con lapidi in ricordo dei famigliari e con dati relativi al castello, l’altro in ricordo dell’amato cane Arda. Ma le idee del Fratino non finivano qui, infatti per permettere un più facile accesso all’edificio nel 1910/ 1911, vennero creati dei “viali”, dei sentieri che collegavano Castel d’Ardona a diverse località.Il progetto contemplava anche una funivia che partendo da Torno giungeva fino a Montepiatto, per collegarsi infine alla sua rocca. Opera mai realizzata così come l’idea di una ferrovia montanina per uno sfruttamento turistico della montagna. Il progetto era molto costoso e molto complicato e lo stesso Ruspini abbandonò presto l’idea. Ma il Fratino, che amava girare per quei monti in compagnia del cane, era ricco di idee futuristiche e creative. Oltre alla ferrovia pensò anche ad una “Stazione per Aeronavi”, elaborandone anche un progetto.
Con gli anni il Castello si stava trasformando in una vera e propria struttura ricettiva, con anche la costruzione di un edificio usato come rifugio per ripararsi e pranzare. In alcuni scritti ritrovati il Fratino descrive il Castel d’Ardona come opera di utilità pubblica con la quale voleva mettere a disposizione di tutti la possibilità di godere della bellezza della zona e del panorama mozzafiato. Nel 1915 arrivò l’inizio della Prima Guerra Mondiale e così vennero interrotti tutti i progetti. Nonostante Angelo Ruspini fu sempre molto attivo e dedito in tutto ciò che faceva, si tolse la vita a soli quarantacinque anni. Non avendo né moglie né figli tutti i suoi beni, compreso il castello, vennero lasciati alla governante di famiglia che si chiamava Ernesta Ciapessoni. Castel d’Ardona venne, presto, rivenduto e, dopo alcuni passaggi di mano, andò al “Gruppo Aziendale Tintoria Comense”, oggi conosciuto come Ticosa S.p.A. L’azienda, tramite l’organizzazione del “Dopolavoro”, decise di destinare il Castello per le vacanze delle famiglie dei dipendenti dell’azienda, dopo che vi furono attuate delle migliorie con doppi servizi di cucina, lavatoi e dormitori separati per uomini e mamme con bambini; si iniziò ad utilizzarlo come luogo per le vacanze nel 1928. Quel periodo durò poco e il castello, chiuso. iniziò a deteriorarsi e ad essere oggetto di furti e vandalismi.

Tutto ciò ha portato al crollo di parte dell’edificio e alla condizione di abbandono e desolazione alla quale ci si trova davanti visitando questi luoghi non facili da raggiungere. Per trovare quel che resta del Castel d’Ardona si deve salire fino a San Maurizio; da qui si prosegue a piedi per circa mezz’ora, passando per un sentiero all’interno di una magnifica pineta, segnalato da un piccolo cartello. Arrivati sul poggio dove sorgeva il castello si farà fatica ad individuarlo in quanto quasi interamente inghiottito dalla vegetazione,ma una parte delle mura son visibili e le ringhiere in ferro sono ancora intatte e resistenti, solo un po’ ruggini qua e là. Ciò che si vede comunque è tutto scoperchiato e pericolante. Anche la vista, una volta aperta a 180 gradi, è ora impedita da alte piante. (da G. Maglia – Edifici e luoghi abbandonati sul lago di Como).
Una piramide sul lago di Como
Qualcuno la considera un’ingombrante presenza kitch, di certo è una delle costruzioni più sorprendenti e curiose del Lago di Como, l’inaspettata piramide che svetta nel cimitero di Laglio è il monumento funebre del grande medico e scrittore Joseph Frank. Nato a Baden, Germania, nel 1771, studiò medicina e fisica a Pavia, dove fu allievo di Alessandro Volta, e venne insignito di parecchi ordini al merito. Il dottor Frank, pur avendo trascorso gli ultimi anni della sua vita a Como, amava così tanto Laglio, da chiedere nel suo testamento di esservi sepolto. Fu uno stimato filantropo e lasciò ben 50000 franchi svizzeri a scopi benefici e scientifici, riservando nel suo testamento 25000 franchi per la costruzione del suo monumento funebre: una piramide alta ben 20 metri e larga 13.
Joseph Frank insegnò in Polonia, dove fu nominato medico della Casa Imperiale, e si trasferì sul lago di Como nel 1829 dove acquistò villa Gallietta in località Borgo Vico, giunto sul Lario in condizioni cagionevoli di salute, qui riacquistò forma e salute. A Como scrisse la sua maggiore opera (Praxeos medicina universae praecepta). Melomane, buon musicista e cantante d’opera conobbe personalmente Beethoven, Haydn, Rossini e Liszt e prese lezioni da Mozart. Morì nel 1842, ma venne sepolto nella piramide di Laglio solo dieci anni dopo. Nell’interno del mausoleo c’è una iscrizione: “Voi che ponete il piede in questa soglia, augurate pace a un uomo che fu veramente tra gli uomini umanissimo”.
Joseph Frank fu un uomo controverso per quei tempi, i suoi anni sul lago di Como li visse in maniera fastosa, leggendari furono i suoi ricevimenti, riusciva sempre a sorprendere e meravigliare i suoi ospiti; fu anche un uomo vanitoso, ideò lui stesso il monumento a piramide e lo volle posto sulla riva del lago di Como, dove all’epoca passavano i tre quarti degli illustri viaggiatori europei. Ancora oggi fa un effetto decisamente strano vederlo dal Lago o dalla strada e le luci del tramonto ne accrescono l’aspetto misterioso
Chissà se l’altro straniero innamorato di Laglio come il dottor Frank vorrà rimanere in eterno sulle sponde del lago, ma è un po’ presto per pensarci vero George? E’ lui, George Clooney l’attrazione principale del paese, la sua Villa Oleandra è meta di pellegrinaggi e immortalata in migliaia di selfie, ma, perchè non andare qualche centinaio di metri più avanti e, se riuscite, far visita al Cantiere Ernesto Riva, maestri d’ascia dal 1771. Una bottega artifiana piena di fascino, lì sono tuttora conservati i registri storici di fine Ottocento contenenti i dettagli delle commesse realizzate e i disegni tecnici delle barche e motoscafi progettati. Alle sue origini l’attività della “sciostra”, che nel dialetto locale significa “bottega artigiana” ed è con la maestria degli artigiani che i Riva hanno costruito battelli, lance, inglesine, e “lucie” manzoniane, impiegate da pescatori o commercianti. Oggi con la guida del cantiere è affidata a Daniele Riva, la sesta generazione di famiglia.
Il mistero del fiume di latte
L’ultimo luogo misterioso lo troviamo vicino a Varenna ed è “il fiume più breve d’Italia”, vale dire Fiumelatte così chiamato per le sue acque impetuose bianche di schiuma. Il fiume sbuca da una grotta nascosta nel fitto della vegetazione e prima di tuffarsi nel lago percorre una distanza di soli 250 metri.
Non è tuttavia la lunghezza (o cortezza) a rendere la storia di questo fiume interessante. Più misterioso il fatto che nonostante le ripetute spedizioni di geologi nessuno sia mai riuscito a individuarne la sorgente e a spiegarne l’intermittenza: Fiumelatte, infatti, inizia a scorrere il 25 marzo di ogni anno e smette il 7 ottobre. Appare e scompare come un fantasma. Fra i suoi primi esploratori, probabilmente attratto dalle sue caratteristiche alquanto singolari, niente meno che Leonardo da Vinci che nel Codice Atlantico, al folio 214, scriveva così: “A riscontro a Bellagio è il Fiumelaccio, il quale cade da alto più che braccia 100 dalla vena donde nasce, a piombo sul lago, con inistimabile strepitio e romore. Questa vena versa solamente ad agosto e settembre“. Anche Plinio il Vecchio si interessò a questa piccola meraviglia della natura. E un fiume così incredibile, che sgorga repentino e tumultuoso da una fenditura nella montagna, capace di suscitare l’interesse di uomini come Leonardo e Plinio, oltre che di molti altri naturalisti e studiosi, non poteva non favorire il nascere di molte leggende tra fanciulle dispettose, giovani ardimentosi, buio e paure.
Suggestioni, storie di paese che negli anni hanno contribuito a far lievitare il fascino misterioso di questo posto. Attenzione, però. L’origine del Fiumelatte e la sua intermittenza continuano a rimanere un mistero reale. Le spedizioni di geologi addentratesi nella grotta da cui sgorga da primavera all’autunno, sono riuscite ad arrivare fino a un certo punto. Poi, si sono dovute fermare di fronte a cunicoli troppo stretti e pericolosi. Così, negli anni novanta, per farsi un’idea almeno approssimativa, un gruppo di studiosi pensò di ricorrere a un espediente ingegnoso: salì in cima alla Grigna e versò del colorante atossico nella grotta detta “W le donne” e, a distanza di qualche minuto, il colore comparve nel tratto finale di Fiumelatte. La cavità dalla quale il fiume sbocca sarebbe dunque il condotto superiore di un sistema di canali carsici situati nella pancia del Grignone. Ma arrivare fino alla sorgente, addentrarsi in quel labirinto di cunicoli popolato di incubi fino al punto esatto dove il fiume inizia la sua corsa è impossibile. (da Storiedimenticate.it)
