L’enigma del misterioso apparecchio affondato nel lago 100 anni fa. Il libro di Elisa Denti

24 novembre 2020 | 15:47
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Novembre 1920 – novembre 2020: un secolo nel silenzio delle acque profonde

Una vicenda persa negli anni e sotto le acque scure del Lago di Como, un pezzo di storia della subacquea destinato a rimanere irrisolto. Nel novembre del 1920 un misterioso apparecchio subacqueo venne calato nelle acque del Lago di Como e qui, purtroppo, andò tragicamente perduto. Nel libro di Elisa DentiIl misterioso apparecchio subacqueo affondato nel LarioEd. Dominioni – si racconta la storia di ciò che avvenne allora e dei tentativi di ritrovare il relitto compiuti molti anni dopo, secondo quanto è stato possibile ricostruire a partire dalle cronache dell’epoca e da quanto emerso in occasione della campagna di addestramento e ricerca avvenuta nel 2011 per opera dei sommozzatori dei Vigili del Fuoco del Nucleo di Milano.

I fatti narrati e alcuni dei personaggi di questa storia sono quindi reali, mentre altri elementi del libro sono frutto di invenzione, racconta l’autrice Elisa Denti. Giornalista e pubblicista con esperienza di direzione e redazione in quotidiani online e riviste a carattere locale, Elisa si è laureata in ambito artistico e culturale. Prima di impegnarsi nel settore della comunicazione ha svolto diverse professioni, lavorando anche in campo tecnico e meccanico. Vive sul lago di Como, dove ama ritrovare antiche storie d’acqua; ed è proprio il lago che, dopo tanti anni, l’ha raggiunta con quella che oggi ci racconta.

Generico novembre 2020

Elisa, come sei venuta a conoscenza di questa storia e come mai hai pensato di raccontarla?

Quando, nel 2011, la barca da ricerca dei Vigili del Fuoco fece la sua comparsa davanti a Gravedona, nell’alto lago comasco, io lavoravo come corrispondente per un giornale online ed ero quindi sempre attenta a tutto ciò che potesse rappresentare una notizia. Quindi mi attivai immediatamente per capire cosa stesse succedendo e il mistero venne presto svelato. La vicenda e tutti i suoi misteri mi appassionarono fin da subito e continuai a interessarmene anche negli anni successivi, in occasione degli altri sopralluoghi che i Vigili del Fuoco effettuarono sul relitto, riportandone ogni volta la notizia sui giornali per i quali lavoravo e, ogni volta, ripercorrendone brevemente la sua tragica storia. A ogni riaccendersi dei riflettori su questa vicenda, aleggiava, se non proprio l’intenzione, almeno il desiderio di tentare il recupero di questo misterioso relitto, in particolare da parte del Museo Nazionale delle Attività Subacquee di Marina di Ravenna che aveva già fornito dati utili al suo ritrovamento. Per questo quando fallì l’immersione sul relitto del sub profondista, ingaggiato proprio dal Museo ravvenate per verificare le effettive possibilità di un recupero, la delusione fu grande, anche da parte del pubblico che seguiva ormai da tempo la vicenda, e il sogno di vedere un giorno riemergere il misterioso oggetto sembrò svanire irrimediabilmente. Forse per questo da quel momento mi entrò nella testa un pensiero fisso: questa è una storia che deve essere raccontata, che deve essere ricordata. E non solo per la vicenda in sé, purtroppo tragica, ma anche per la quantità di ambiti diversi sui quali offre spunti di approfondimento: le vicende della Prima guerra mondiale, i MAS, la cantieristica lariana, le scoperte tecnologiche riferite alla subacquea, l’indole curiosa e ambiziosa dell’uomo. Insomma: è la storia di un oggetto raro, è ricca di spunti storici e umani e, da ultimo, è ancora un mistero da risolvere. Per questo era necessario iniziare a parlarne, avviare un dibattito, attivare interesse. E questo è esattamente lo scopo della mia pubblicazione, che non vuole essere né esaustiva né risolutiva, ma vuole dare a tutti, con il suo carattere romanzato e divulgativo e con alcune note storiche d’approfondimento, la possibilità di entrare in questa storia e, magari, aggiungerne un tassello”.

Qual era la finalità della missione del 1920? Chi ne furono i protagonisti? Com’era il prototipo che andò perduto?

Dell’apparecchio affondato davanti a Gravedona si sa veramente poco e quel poco è costituito più che altro da congetture. Si tratta presumibilmente di una torretta butoscopica, e cioè di uno strumento pensato per calare in acqua una persona, proteggendola dalla pressione idrostatica e mettendola nelle condizioni di poter effettuare l’ispezione dei fondali, in particolare alla ricerca di relitti. La torretta, quindi, deve essere immaginata non tanto come un veicolo subacqueo, quanto piuttosto come un involucro metallico di forma più o meno cilindrica e collegato alla superficie tramite un cavo. L’inventore del prototipo affondato a Gravedona fu un ingegnere triestino di nome Francesco Kalin, che pochi anni prima aveva aperto a Milano la sua officina. Per testare la sua invenzione, Kalin scelse di metterla alla prova calandola in acqua alla ricerca di un relitto: quello di un MAS affondato appena due anni prima proprio davanti al paese altolariano. All’interno dell’apparecchio entrò il suo capofficina, purtroppo per non uscirne più. I protagonisti della vicenda, quindi, sono senz’altro loro due: l’inventore e il suo meccanico, ma nel libro l’unico vero protagonista è il misterioso apparecchio subacqueo: l’oggetto attorno al quale nacquero sogni di gloria e d’avventura e dentro al quale vennero spietatamente spenti; ma anche l’oggetto che sa suscitare ancora, dopo un secolo di dimenticanza e d’abbandono, curiosità e fascino misterioso, lanciando nuovamente all’uomo, che pure l’ha creato e proprio a quello scopo, la sua difficile sfida: calarsi nelle acque profonde per cercarne il relitto”.

Per quanto riguarda le cronache dell’epoca, quali sono state le fonti utilizzate?

La misteriosa torretta Kalin aveva suscitato curiosità già all’epoca della sua invenzione, tanto che la stampa locale, in particolare il quotidiano La Provincia di Como, ne aveva seguito le vicende fin dai primissimi test effettuati a Como. Per la ricostruzione degli eventi che ne portarono all’affondamento, quindi, mi sono attenuta alla approfondita descrizione che se ne fece allora sulle pagine del quotidiano. Grazie poi alla gentile concessione proprio de La Provincia di Como, è stato possibile inserire quegli stessi articoli, risalenti a cent’anni fa e divenuti ormai storici, alla fine del libro, tra gli approfondimenti che corredano lo scritto, per dare al lettore la possibilità di verificare quanto, seppur in forma romanzata, la storia narrata sia fedele a una chiara fonte storica.
Per la descrizione delle tecnologie e della strumentazione utilizzata oggi per la ricerca di oggetti in alto fondale, invece, mi sono avvalsa di documentazione specializzata e della gentile collaborazione dei sommozzatori dei Vigili del Fuoco del Nucleo di Milano, che con grande pazienza e disponibilità hanno risolto le mie curiosità e le mie richieste di informazioni riguardanti la loro attività nell’ambito della ricerca strumentale. Per le ricostruzioni storiche e tecnologiche ho infine fatto riferimento a testi specifici, sui quali mi sono applicata in intense ore di studio
”.

Della storia si occupò anche una nota trasmissione televisiva

Sì, il ritrovamento del relitto della torretta Kalin è rimbalzato, nel tempo, anche oltre i confini lariani, finendo sulle pagine di alcuni quotidiani triestini, terra d’origine dell’inventore, e su alcuni telegiornali regionali. A livello televisivo, però, la storia raggiunse per la prima volta il grande pubblico nel 2018, grazie alla trasmissione “Ulisse, il piacere della scoperta”, di Alberto Angela. La redazione del programma, alla ricerca di informazioni da inserire nel servizio, mi contattò per via dei molti articoli da me scritti sulla vicenda e pubblicati online, e ne nacque una breve ma bellissima collaborazione che permise loro di raccogliere gran parte delle informazioni che cercavano, fino alla registrazione di un’intervista all’ex capo Nucleo dei sommozzatori dei Vigili del Fuoco che nel 2011 aveva diretto le operazioni di ricerca del relitto. La registrazione dell’intervista avvenne sulle sponde di Gravedona, davanti a quello specchio di lago che ancora custodisce i suoi segreti”.

Quale futuro ti auguri per il relitto? Si può sperare di vederlo un giorno riemergere dalle acque del lago?

“Difficile a dirsi, ma tra l’abbandono definitivo sul fondale e il suo recupero esistono forse vie alternative che la tecnologia potrebbe offrire, quali, ad esempio, il rilevamento del suo profilo e un tracciamento virtuale dell’oggetto che ne restituisca almeno la forma e le caratteristiche essenziali, esattamente come già si fa in campo archeologico. Un compromesso che permetterebbe di lasciare l’apparecchio, e il suo occupante, nel luogo dove ora riposa, e a noi di soddisfare la curiosità di conoscerlo e il desiderio di conservarne la memoria”.

Sabrina Sigon

https://www.youtube.com/watch?v=Px2NW7d3RvA