COOKIN’ MUSIC #006
Musica nuova in cucina con i tre chef di COOKIN’ MUSIC: Cristiano Paspo Stella, il cantautore, Massimiliano Pini, il cuoco clandestino e Piergiorgio Ronchi, il beer sommelier, apparecchiano un menù in tre portate partendo da una canzone
#006 Lucio Dalla Come è profondo il mare
Correva l’anno 1977 quando Lucio Dalla pubblicò “Com’è profondo il mare”, il suo settimo album e il primo in cui il cantante bolognese si impegnò completamente e a solo nei testi, dopo la rottura col poeta Roberto Roversi che lo aveva accompagnato nella stesura dei tre precedenti “Il giorno aveva cinque teste”, “Anidride solforosa” e “Automobili”.
E l’esordio fu anche la conferma di Dalla come uno dei maggiori artisti che l’Italia musicale potesse vedere in quegli anni e in quelli a seguire. Il cantante, infatti, conservò l’esperienza con Roversi, scrivendo un album che affondava le radici nelle storie quotidiane, raccontando l’Italia attraverso una serie di racconti, bozzetti, che sono rimasti ben presenti nella mente di chiunque ami la musica: nell’album sono presenti brani come “Il piccolo Alfredo”, “Corso Buenos Aires” e “Disperato erotico stomp”. Il disco si apre con appunto il brano che dà il titolo all’album un testo ricco e complesso: “Siamo noi, siamo in tanti, ci nascondiamo di notte per paura degli automobilisti, dei linotipisti siamo gatti neri, siamo pessimisti, siamo i cattivi pensieri, e non abbiamo da mangiare, come è profondo il mare, come è profondo il mare” canta Dalla dopo un fischio con cui dà il via alla canzone, il cui significato da allora ha avuto le più svariate interpretazioni.
E’ il 1977, la canzone probabilmente risente dell’attualità dell’epoca che vedeva un’Italia colpita dal terrorismo (pochi mesi dopo Aldo Moro sarebbe stato rapito e poi ucciso) e nelle varie strofe si sente l’anelito storico che pervade tutto, come sottolinea anche Davide Saini su La Balena Bianca: “Strofe intere a ricostruire eventi storici: la quarta rappresenta la rivoluzione russa del 1917, la quinta la seconda guerra mondiale, la sesta i campi di concentramento, la settima lo sgancio della bomba nucleare“.
Scritto alle Isole Tremiti, il testo lungo di questa canzone – che comprende anche autobiografia, come quando Dalla canta “Babbo che eri un gran cacciatore di quaglie e di fagiani” – è una sorta di percorso storico che parla di deboli e di lotta di classe (“È inutile non c’è più lavoro, non c’è più decoro, Dio o chi per lui sta cercando di dividerci, di farci del male, di farci annegare”, ma anche “fu scaraventato in un palazzo o in un fosso, non ricordo bene, poi una storia di catene, bastonate e chirurgia sperimentale) e un finale che definisce chiaramente ciò di cui stiamo parlando, ovvero di un “dramma collettivo”: “Frattanto i pesci, dai quali discendiamo tutti, assistettero curiosi, al dramma collettivo di questo mondo che a loro indubbiamente doveva sembrare cattivo”.
Di pesci quindi non parliamo ma di mare – una delle ricette più strampalate che facemmo in un corso di cucina con la sempre-nei-nostri-cuori Marina Zenzero è stata la zuppa di sassi. Piatto osatissimo che troviamo a Livorno, dal sapore inconfondibile di mare appunto i sassi che stanno da secoli sott’acqua sono serbatoi di sapore che rilasciano nella bollitura in acqua di mare sfumature mai uguali a se’ stesse, sempre straordinarie. Quindi prendete sassi tondi delle dimensioni di un pugno e fateli bollire per un’ora. Fate quindi un soffritto di olio, aglio e cipolla. Aggiungete poche foglie di prezzemolo e quindi l’acqua di cottura dei sassi. Ma il vero fulgore di questa poverissima minestra è quella di aggiungere le erbe spontanee della costa mirto, erica, ginepro, lentisco e ulivo. Mi pare scontato – ma sempre meglio ribadirlo – quanto sia generosa la natura e quanto diventi indispensabile per noi non solo rispettarla ma combattere per essa.
Difficile abbinare una birra a un piatto del genere ma ci proviamo, non andare a coprire il gusto del nostro brodo, una doppio malto chiara come la bock oppure una bock ambrata,