Marcello Castiglioni, un ritorno con la radio nel cuore
Marcello, fondatore nel 1978 di Radio Studio Vivo, si racconta ai microfoni della diretta di CiaoComo dopo 33 anni: “Che emozione essere qui”
Era il 31 gennaio 1978 e Marcello Enzo Castiglioni accoglieva il primo vagito di Radio Studio Vivo, che domani compierà 43 anni. Oggi, Marcello è tornato in onda, insieme a Tito, per ricordare quegli anni e i suoi protagonisti, e grande ed affettuosa è stata l’accoglienza da parte di tantissimi ascoltatori, che attraverso la diretta fb, le telefonate e i messaggi hanno voluto salutare uno degli speaker più amati e storici della città.

«Siamo partiti con i ragazzi di Brunate, con ardimento e follia – ha raccontato Marcello – Io ero il più vecchio, avevo circa 27 anni, eravamo visti un po’ come dei scapestrati, ma ci stava. Ho iniziato e i ragazzi mi sono venuti dietro, mi chiamavano boss, perché io sono buono e caro ma in quello che si faceva era necessario che ci fosse un’impronta, fatta di spontaneità, semplicità, impegno e poco show, la cosa importante era stare con la gente, soprattutto in un periodo difficile come quello».

«Tutto l’amore che oggi mi hanno dimostrato gli ascoltatori non può passare inosservato, segno che le connessioni create allora sono ancora forti e vive. Non ho mai amato lo show, credo che sia importante la voce e non quello che indossi o come sei pettinato, la gente si affeziona a quello che sei, non a come appari. Capisco i bisogni di oggi, così come capisco il video di un concerto o di un artista, ma non capisco i video di uno speaker o di un dj. La radio é un’altra cosa».

«Aveva ragione Marcello – commenta così Lorenzo Canali il compleanno di Radio Studio Vivo con il regalo del ritorno di Castiglioni al microfono – Aveva ragione lui a dire che la radio è della gente e a farla in un modo che gli ascoltatori la sentissero come una cosa loro. Di più, talmente viva (e il nome ne era il manifesto), da essere sentita come “una di famiglia”. Io la radio ho iniziato a farla un anno prima di lui, da Tavernerio, in fascia laterale. Marcello invece ha sempre giocato in centro area e, come un vero bomber, è stato tanto egocentrico da plasmare la radio a sua immagine, quanto generoso nel darsi a piene mani agli ascoltatori, ma anche ad un gruppo di giovani deejay improvvisati (lo eravamo tutti allora), purchè si allineassero alla sua idea di radio senza se e senza ma».
«E aveva ragione lui. Contro ogni stilema in voga all’epoca, Marcello ha dato a Radio Studio Vivo una voce comasca, un volto popolare e un’attitudine inclusiva. Mentre noi (Como Radio City), scimmiottavamo Radio Milano International che a sua volta scimmiottava le radio americane, nella radio di Marcello si sentivano anche espressioni in dialetto. Gli altri si affannavano a rincorrere le hit straniere e a Radio Studio Vivo suonavano i dischi dei cantautori italiani. Soprattutto, per noi gli ascoltatori erano qualcosa di astratto e poco rilevante, per loro avevano un nome ed erano co-protagonisti delle trasmissioni. Noi facevamo la radio che ci piaceva e loro facevano quella che piaceva alla gente. E’ stato un dualismo lungo tutto il decennio degli anni ’80 nel quale Radio Studio Vivo ha inanellato una serie “juventina” di scudetti , noi abbiamo vissuto di rari momenti di gloria, ma abbiamo resistito, altri sono scomparsi subito (Radio Como, Radio Lario e Radio Sud Europa sono state bellissime iniziative, ma troppo effimere per essere paragonate a Radio Studio Vivo e Como Radio City). Dagli anni ’90 in poi il mondo delle radio in Italia è cambiato, ma Marcello se ne era già andato».
«Comunque aveva ragione lui, io l’ho capito un giorno in cui avevo deciso di smettere con la radio. Mi sentivo troppo vecchio per fare il deejay, anacronistico e fuori luogo con quelle frasi stereotipate e la voce impostata (power). Anche dover mettere per forza i dischi che passavano i network lo trovavo fastidioso e inutile. Potevo provare a fare il ragioniere come da diploma conseguito… oppure fare la radio in un altro modo. E’ lì che ho capito che Marcello aveva ragione».