Dante: terzine from…Wahington. Dante e Yunus Emre, poeti di tutti

Se anche Tuğrul Tanyol si posiziona a Hill Park, nel centro di Washington, per leggere le sue predilette terzine dantesche, nel suo bagaglio di vita si porta dietro la patria: la Turchia. E infatti i primi 24 versi del Canto III dell’Inferno, selezionati per l’iniziativa “Dante: terzine from the world”, lanciata dalla Casa della poesia di Como, vengono letti in francese davanti alla statua del poeta fiorentino che svetta tra gli alberi. Tuğrul Tanyol è nato nel 1953 a Istanbul in una famiglia di intellettuali repubblicani e ha studiato al Liceo francese di Saint-Joseph, dove ha incontrato la passione per poeti come Racine e Hugo, Aragon e Apollinaire. E proprio in francese, racconta il poeta turco nel commento che potete leggere in versione integrale sul sito della Casa della poesia di Como, è stata la sua prima lettura di Dante, di cui dice: «non avevo molto da dire, perché non l’avevo capito bene. Non conoscevo il Rinascimento né avevo letto mitologie antiche. Ignoravo anche l’Islam e il cristianesimo. Ho letto la Divina Commedia dal francese ancora una volta quando avevo ventisette anni, poi di nuovo a cinquant’anni».
Dante è per lui “l’architetto dell’italiano moderno”, così come Yunus Emre lo è del turco moderno: due poeti, secondo Tuğrul Tanyol, che sono passati alla storia perché hanno saputo essere poeti di tutti. Ma chi è questo poeta turco che Tuğrul Tanyol avvicina al nostro Dante? Yunus Emre, vissuto tra il 1240 e il 1321 circa, oltre a essere un poeta era anche un sufi, ovvero un mistico aderente al sufismo, la dimensione più spirituale dell’Islam. La sua grande influenza sulla letteratura turca è dovuta al fatto che prese la decisione, impopolare per l’epoca, di scrivere in turco, piuttosto che in arabo o in persiano, lingua ritenute allora più elevate. Yunus Emre andando controcorrente decise di esprimersi con la stessa lingua dei cantastorie e dei poeti popolari, perché era proprio al popolo che voleva rivolgersi. Le sue poesie parlano a tutti, come le terzine dantesche, perché si spostano dal tema dell’amore divino a quello del destino umano, che in un modo o nell’altro toccano da vicino qualsiasi lettore. Ecco un esempio dei suoi versi, scritti secondo la tradizione dell’antica poesia popolare anatolica:
A proposito delle terzine dantesche scelte per l’occasione invece Tuğrul Tanyol dice: «Dante trascorse la maggior parte della sua vita in esilio. “Il Canto 3 dell’Inferno (di cui ho letto la traduzione turca) è una delle parti migliori dell’opera di Dante, che racconta l’epopea del viaggio fantastico verso l’altro mondo».
Canto III, Inferno (1-24)
“Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina podestate,
la somma sapienza e ’l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”.
Queste parole di colore oscuro
vid’io scritte al sommo d’una porta;
per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro».
Ed elli a me, come persona accorta:
«Qui si convien lasciare ogne sospetto;
ogne viltà convien che qui sia morta.
Noi siam venuti al loco ov’i’ t’ho detto
che tu vedrai le genti dolorose
c’hanno perduto il ben de l’intelletto».
E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto, ond’io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose.
Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l’aere sanza stelle,
per ch’io al cominciar ne lagrimai.
Martina Toppi