Ricordando Aldo Buzzi



di Davide Fent
A questa Como umile e saporita lo scrittore Aldo Buzzi desiderava intitolare nuove strade: Via Missoltitt, Via del Pane, un tempo specialità di Como, Via Resta (la resta è il rametto di ulivo all’interno del particolare panettone di Como), Via Cipolle , Vicolo Cipolline (Como veniva denominata «el paes di scigull», il paese delle cipolle).
Un volume di Buzzi “Andata e ritorno“, pubblicato da Scheiwiller, ha come sottotitolo Viaggi a Giacarta Gorgonzola Lambrate Londra Como Baggio Vienna Leighlgen Springs Brunate e bisogna riconoscere che raramente un cosmopolitismo così svagato e disponibile si è accompagnato a una tendenza tanto sobriamente ironica. In essa probabilmente si riflette anche il volto degli abitanti di Como: non solo quello che mostrano agli altri, ma quello in cui si riconoscono. Qualcosa che da un lato si apparenta allo spirito lombardo, cordiale in superficie, guardingo in profondità, quando non attraversato da una comicità tetra (l’è el dì de mort, alegher!); dall’altro lascia trasparire una sorte di scetticismo verso i miti stessi in cui crede: il lavoro, ad esempio, che ha trasformato una città in riva a un lago alpino in capitale della seta, già dalla metà del Cinquecento.
Io ho l’impressione che esso sia vissuto come una benedizione da accogliere a braccia aperte, ma con occhi non meno aperti. Siamo vicini alla Ginevra di Calvino, con la sua religione del lavoro come segno della benevolenza divina, ma ne siamo al tempo stesso lontani. Si lavora come se il lavoro fosse la cosa più importante, ma temendo e insieme sperando che non sia vero: e proprio questo come se lo rende umano. Aldo Buzzi (1910-2009), ha vissuto molte vite e non solo perché ha avuto la ventura di arrivare a novantanove anni. Nato a Como nel 1910, ma milanese d’adozione e vissuto a lungo a Roma, ha attraversato con curiosità, ironia e disincanto l’intero Novecento, passando dall’architettura al cinema, all’editoria e alla letteratura.

Aldo Buzzi nasce in via Garovaglio il 10 agosto 1910 da Paolo Buzzi, chimico originario di Sondrio, e Käthe (“Ketty”) Müller, una pittrice tedesca naturalizzata italiana. A Como rimane fino a sei anni: poi, per seguire il padre nei suoi spostamenti di lavoro, la famiglia si trasferisce prima a Sondrio e poi a Cernobbio, sebbene Buzzi prosegua gli studi ginnasiali nella città natale (“Andavo a Como la mattina col tram“, ricorderà molti anni più tardi, ne La Lattuga di Boston). “Alla fine delle sue peregrinazioni papà si prese un laboratorio in una vecchia via del centro di Milano”, racconta ancora Buzzi: proprio a Milano egli termina gli studi, laureandosi in architettura al Politecnico nel 1938. In questi anni, Buzzi viene in contatto con personalità della letteratura e del design (Leonardo Sinisgalli, Bruno Munari) e stringe amicizia con due studenti che di lì a qualche anno avranno un certo peso nella cultura (non solo italiana) del dopoguerra: il milanese Alberto Lattuada (che con i fratelli Gianni e Luigi Comencini fonderà la Cineteca Italiana di Milano) e l’esule ebreo romeno Saul Steinberg (in seguito celeberrimo cartoonist). Proprio l’amicizia con Lattuada lo porterà ad avvicinarsi al cinema. Dirà “Di solito uno non dice di voler fare il caporale ma il generale di corpo d’ armata: io no, io preferisco fare l’aiutante”.
All’inizio è architetto, con sodali come Lattuada, Comencini, Castellani e Steinberg, tutti, come lui, finiti a fare altro. Chiude quel primo periodo impaginando per l’amico Alberto Lattuada il volume Occhio quadrato, stampato da Corrente nel 1941, che segna la nascita del neorealismo nella fotografia. Ma ben pochi lo sanno. Negli anni Quaranta e Cinquanta lavora a Roma nel mondo del cinema (accanto a Lattuada, Fellini, Comencini) come scenografo, costumista, sceneggiatore, aiuto regista. Pubblica subito un libro che non si dimentica, Taccuino dell’aiuto-regista (1944), impaginato questa volta dal suo amico Bruno Munari e divenuto una rarità antiquaria al pari del precedente. Intanto apprende dal mondo del cinema l’arte della sceneggiatura e del montaggio, che esercitano ad asciugare, alla sintesi e alla rapidità nell’alternare i piani del racconto, esperienze che gli risulteranno utili poi nell’editoria e nella scrittura. Ammette con franchezza il debito nei confronti del cinema: “Mi ha insegnato a scrivere. Il montaggio è fondamentale. L’arte di cucire insieme scene diverse, distanti tra loro, è essenziale per un narratore”. Ma da regista firma solo, insieme al grande fotografo Enrico Patellani, il film-documentario “America pagana“, mai distribuito per fallimento del produttore.

Negli anni Sessanta è traduttore e poi redattore capo della narrativa alla Rizzoli a Milano per una decina d’anni, curando in particolare le opere di Flaiano, Soldati e Mastronardi, dei quali diviene anche amico ascoltato. Il suo è un lavoro prezioso e importante, da dietro le quinte. Arriva finalmente il momento più atteso, la vita desiderata, quella di scrittore. Il destino gli riserva il ruolo di scrittore defilato in tarda età di pochi raffinati libri, i più noti sono “L’uovo alla kok” del 1979 e Čechov a Sondrio del 1991 apprezzati senza riserve da selezionati critici e lettori, dove spesso il cibo è un pretesto per parlare della vita e della letteratura con occhio disincantato.
Le pagine dedicate al cibo ne fanno, al riguardo, l’autore più significativo dell’intero Novecento italiano e un riferimento obbligato anche all’estero, dove è stato tradotto in molte lingue. Anche se la fama di Saul Steinberg, con il quale Aldo Buzzi ha collaborato negli anni Sessanta e Settanta, si è un po’ offuscata qui in Italia presso il grande pubblico, rimanendo viva prevalentemente tra gli addetti ai lavori, non è così negli Stati Uniti, dove è tuttora considerato il più grande disegnatore del secondo Novecento e dove gli hanno dedicato mostre su mostre in occasione del centenario della nascita, specie nella sua New York. Ma a fianco di questo Steinberg c’è anche l’amico Buzzi che lo ha salvato ospitandolo da clandestino, che ha scritto la prima lungimirante recensione apparsa su di lui (“Domus”, ottobre 1946), che dal 1945 al 1999 intrattiene una straordinaria corrispondenza capace di svelarne fino in fondo l’animo e i pensieri segreti e di consacrarlo, seppur postumo, scrittore in lingua italiana
