Taccuino letterario dell’ 11 marzo 2022

Parolario&Co. è una rubrica settimanale di consigli di lettura realizzata in collaborazione tra Associazione Culturale Parolario, giornale La Provincia di Como e Ciaocomo radio con il patrocinio del Consiglio di Regione Lombardia. Si ringrazia Confindustria Como, Fondazione Volta e BCC Cantù
A pochi giorni dall’8 marzo, Giornata Internazionale della donna, Parolario & Co. non vuole spegnere i riflettori sul significato profondo di questa ricorrenza, perché di diritti e parità di genere non bisogna mai smettere di parlare. Per farlo, ci siamo affidati alla storia e, naturalmente, ai libri. Ma com’è nata questa celebrazione?
È stata Clara Zetkin a fondare la “Giornata internazionale della donna” nel 1910. La “Giornata internazionale della donna”, nota anche come IWD (International Woman’s Day) in breve, è nata dal movimento operaio per diventare un evento annuale riconosciuto dalle Nazioni Unite. Nel 1908, 15.000 donne marciarono per New York chiedendo orari di lavoro più brevi, una paga migliore e il diritto di voto. Un anno dopo, il Partito Socialista d’America dichiarò la prima Giornata Nazionale della Donna. Clara Zetkin, attivista comunista e sostenitrice dei diritti delle donne, suggerì la creazione di una giornata internazionale. Nel 1910 presentò la sua idea a una Conferenza internazionale delle donne lavoratrici a Copenaghen – e le 100 donne presenti, provenienti da 17 paesi, accettarono all’unanimità.
La “Giornata internazionale della donna” è stata celebrata per la prima volta nel 1911, in Austria, Danimarca, Germania e Svizzera. Le cose furono ufficializzate nel 1975 quando le Nazioni Unite iniziarono a celebrare la giornata. La Giornata internazionale della donna è diventata una data per celebrare i progressi delle donne nella società, nella politica e nell’economia, mentre le radici politiche della giornata significano che scioperi e proteste vengono organizzati per aumentare la consapevolezza della continua disuguaglianza.
L’idea di Clara per la Giornata internazionale della donna non aveva una data fissa. Non fu ufficializzato fino a uno sciopero in tempo di guerra nel 1917, quando le donne russe chiesero “pane e pace”; quattro giorni dopo lo sciopero lo zar fu costretto ad abdicare e il governo provvisorio concesse alle donne il diritto di voto. Lo sciopero è iniziato l’8 marzo e questa è diventata la data in cui si celebra la Giornata internazionale della donna.
A tutte le donne che sognano, resistono, amano e lottano per rendere il mondo un posto migliore, a dispetto di ogni fatica e difficoltà, dedichiamo questa piccola, preziosa selezione di libri, scritti dalle donne e rivolti a tutti e tutte, libri capaci di raccontare storie e vite straordinarie, storie e vite che sono, in qualche maniera, anche la nostra.
Partiamo con una donna che racconta un’altra donna: nel suo “Il fiore di Parigi”, edito da Tre60, Caroline Bernard rende omaggio ad una donna incredibile, Simone De Beauvoir, che non si è accontentata di conquistare la propria libertà, ma, attraverso i suoi scritti e le sue lotte, ha aperto la strada verso l’emancipazione a tutte le donne. È il 1929 quando Simone, ragazza curiosa, vivace e intelligente, coltiva un grande sogno: diventare una scrittrice. Nonostante il parere contrario della famiglia, soprattutto del padre, severo e tradizionalista, Simone dopo il liceo si iscrive all’Università. Sono anni decisivi per lei, di studi letterari, di amicizie profonde e di incontri importanti. Ed è proprio nelle aule dell’École Normale Supérieure che Simone conosce l’uomo destinato a diventare il suo compagno di vita: Jean-Paul Sartre, di poco più grande di lei, apprezzato e conosciuto nell’ambiente universitario per le sue idee filosofiche e il suo carisma. Entrambi si sentono immediatamente legati, perché hanno interessi culturali comuni, ma soprattutto hanno la stessa visione del mondo e dell’amore, fondata sulla libertà assoluta e sul rifiuto di ogni vincolo e costrizione. Con Sartre, Simone condivide la vita privata ma anche il lavoro di scrittrice e l’impegno politico, frequentando i caffè della Rive Gauche, animati da artisti e intellettuali, e viaggiando per portare avanti le proprie battaglie, in una relazione aperta e appassionata che li porterà ad affrontare anche la guerra e la separazione, per poi ritrovarsi e non lasciarsi mai più.
È una donna anche la giovane protagonista di “Lo scaffale degli ultimi respiri”, scritto da Aglaja Veteranyi ed edito da Keller, una donna ma non qualunque, e lo si capisce subito. La sua casa è popolata da lingue e profumi di tutto il mondo e da riti antichi come quello di lavare il grano nove volte prima di cucinarlo per fare il dolce dei morti. Con la madre, il fratello e la zia vivono in Svizzera ma il piccolo Stato europeo è solo il punto di arrivo di una vita da girovaghi e circensi. La giovane protagonista è nata a Bucarest, è stata battezzata a Cracovia, operata d’appendicite in Cecoslovacchia e di tonsille a Madrid… Un caleidoscopio di situazioni e colori che però non riescono ad attenuare il dolore di non sentirsi mai a casa e di non avere una “lingua madre”. Aglaja Veteranyi scrive infatti in tedesco, lingua che impara in Svizzera quando vi giunge con la famiglia a quindici anni, ancora analfabeta. Dapprima con “Perché il bambino cuoce nella polenta” e successivamente con questo libro, l’autrice si ritaglia un posto d’onore nella letteratura tedesca contemporanea, lasciando alla sua scomparsa, avvenuta il 3 febbraio 2002, giorno in cui ha deciso di togliersi la vita a soli 40 anni in riva al Lago di Zurigo, un vuoto davvero difficile da colmare.
Un breve, folgorante romanzo d’esordio, una storia carica di tensione, di amore e di incomprensione, di dolore e di riscatto è quella scritta da Alice Bignardi nel suo “La buona educazione”, pubblicato a febbraio da E/o edizioni. Anche qui, la protagonista è una ragazza, Lisa, che osserva incredula i cambiamenti continui di sua madre, una madre dalla faccia strana ma bella, una madre diversa con sua sorella, un’altra ancora con suo fratello e decisamente una moglie diversissima con suo padre. Una madre, Antonella, che ha sempre cercato di trasmettere a sua figlia Lisa “una buona educazione”. La meticolosità, la precisione e l’approfondimento di quelle lezioni è cosa indescrivibile. Così, da quando Lisa ha più o meno sei anni è costretta a trasformarsi in una spugna per assorbire la cascata di insegnamenti con cui la madre la travolge e la soffoca ogni giorno. La loro relazione non si evolve mai, finché Antonella non si ammala. Di lei e sua madre insieme Lisa ricorda vividamente soltanto il momento più triste della sua vita, vagamente tutto il resto. Un garbuglio di ciò che è accaduto e avrebbe voluto accadesse. Questa, infatti, è la storia della malattia di sua madre, non com’è avvenuta realmente, ma come la ricorda sua figlia. Sono due cose completamente diverse.
«Io non credo nell’amore, è una malattia che passa com’è venuta … prendetemi oggi, non contate di avermi domani» scrive Virgina Verasis di Castiglione a uno dei suoi innumerevoli amanti, palesando la sua esigenza più radicata e insopprimibile: non avere padroni. Un’esigenza che emerge prepotentemente dal racconto che della sua vita ci propone Benedetta Craveri nel suo libro “La Contessa”, edito da Adelphi. Tutti noi – grazie agli scritti di testimoni e biografi, a film e sceneggiati televisivi, nonché ai moltissimi ritratti fotografici che in anni recenti sono stati pubblicati ed esposti – crediamo di sapere chi sia stata la contessa di Castiglione: una «seduttrice seriale» di incomparabile bellezza che, dopo aver conquistato (secondo le istruzioni ricevute dal conte di Cavour) Napoleone III e abbagliato la corte del Secondo Impero, si chiuse in una casa senza specchi nascondendo ai propri occhi e a quelli del mondo la sua inarrestabile decadenza. Ma colei che Robert de Montesquiou consacrò per sempre come «la divine comtesse» è stata molto di più, e Benedetta Craveri, la quale ha rintracciato negli archivi italiani e francesi un’ingente mole di lettere totalmente inedite, ce lo fa scoprire lasciando che sia Virginia a parlarci di sé: dei suoi amori, delle sue ambizioni, delle sue paure, delle sue ossessioni. Vengono così alla luce aspetti sorprendenti di una donna che seppe usare il suo fascino, ma anche la sua intelligenza politica, la sua audacia, la sua volontà di dominio, la sua straordinaria abilità di commediante, e anche una buona dose di cinismo, per raggiungere un traguardo all’epoca inimmaginabile: disporre liberamente della propria esistenza. Una ribellione alle regole imposte dalla morale del secolo borghese che, scrive Craveri, “ha mantenuto intatta la sua forza incendiaria e che ancora oggi disturba, sconcerta, scandalizza».
Per le ragazze e i ragazzi dai 13 anni in su, consigliamo la lettura di “Kitchen”, scritto da Banana Yoshimoto ed edito da Feltrinelli Ragazzi, un romanzo che racconta la storia della giovane Mikage, rimasta sola al mondo dopo la morte della nonna. Le cucine che sogna continuamente rappresentano il suo desiderio della famiglia che non ha. E, non avendola, decide di inventarsela, scegliendosi i genitori nella cerchia delle proprie amicizie. Il padre del suo amico Yuichi, per esempio, può diventare tranquillamente sua madre. Un’immagine inedita e sorprendente del Giappone, con temi e situazioni che ricordano quelli dei fumetti manga, rielaborati però attraverso una lingua letteraria e al tempo stesso agile e spigliata.
A cura di Alessia Roversi
