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SE03-03 Banco del Mutuo Soccorso – A cena, per esempio – 1976 – Come in un’ultima cena

11 maggio 2022 | 10:47
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Cristiano Paspo Stella, il cantautore, Massimiliano Pini, il cuoco clandestino e Piergiorgio Ronchi, il beer sommelier, tornano in cucina per la seconda stagione di COOKIN’ MUSIC. Le materie prime sono sempre di grande qualità: musica, food culture e birre dal mondo

Al giorno d’oggi tutti i grandi uomini hanno dei discepoli, ma è sempre un Giuda a scriverne la biografia.

                                                                                                                 (Oscar Wilde – sì ci piace proprio Oscar Wilde)

Siamo nel 1976, anno in cui il Progressive Rock esala gli ultimi respiri e lascia posto al Punk e alla Disco Music degli anni ’80. Il Banco resiste e pubblica un buon album: Come in un’ultima cena.

Un disco forse meno prog dei precedenti, sono infatti assenti le lunghe suite, pur rimanendo la costruzione tecnica essenzialmente progressive, pur occhieggiando a motivi più pop. A cena per esempio viene considerata dai fanatici quasi troppo leggera, anche se il brano cela una inquietudine di fondo come, del resto, si evince dal testo:

Ho ascoltato miti d’eroi e poeti ruffiani

Ho scavato nelle tombe dei santi e dell’amore

Ma continua il grido della terra a frustarmi il cuore

Inchiodato ad ascoltare

Siamo accompagnati da un buon gioco di chitarra (di Rodolfo Maltese) e dal synth di Vittorio Nocenzi. I B.M.S. o Banco del Mutuo Soccorso o semplicemente Banco insieme alla Premiata Forneria Marconi, gli Area e Le Orme sono l’esempio più rappresentativo e conosciuto, anche a livello internazionale, del prog-rock in Italia.

Già con gli esordi de il salvadanaio (come leggiamo nel pregevole Progressive italiano di Mox Cristadoro ed. Tsunami 2014) si percepisce lo stato di grazia in cui il rock italiano si esprime nei primi anni ’70. Infatti il gruppo non si riduce ad una limitante aspirazione verso gli schemi dettati da pur superbe formazioni britanniche, quanto possa essere in grado di imporre una propria estetica.

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Proprio Vittorio Nocenzi (fondatore del gruppo) ammette che dalla sua Marino, non certo una metropoli, non si trovasse al passo con i tempi e che con la sua estrazione classica sia riuscito a creare un unicum spontaneo, rimasto incontaminata dalle mode.

Emerge la figura di Francesco di Giacomo, frontman felliniano, e non per dire, data la sua partecipazione a Roma e Amarcord del regista Federico; cantante estroso e dotato di una naturale timbrica e una invidiabile estensione vocale, diventato l’emblema di una banda dalla caratura mondiale, come – del resto – la storia ci racconta.

 Cucina

L’Ultima Cena è una delle immagini più riconoscibili al mondo e una delle scene più dipinte nella storia dell’arte. Gli artisti hanno adattato volti, vestiti e ambientazioni ai luoghi in cui hanno vissuto e lavorato. Hanno messo sul tavolo cibo che era simbolico, riconoscibile e accettabile per il loro pubblico. Mentre vino e pane sono le uniche necessità sacramentali, alcuni cibi sorprendenti sono finiti sulle tavole raffigurate in tutto il mondo.

Senza dubbio la mente corre immediatamente al celebre dipinto di Leonardo da Vinci presso il refettorio di Santa Maria della Grazie a Milano. Ritroviamo sulla tavola pane, vino e molta frutta, in posizione centrale, mentre un piatto a sinistra contiene dei pesci interi, ma la sorpresa, dopo il restauro, fu scoprire un secondo piatto sulla destra: un vassoio di anguilla grigliata guarnita con fette di arancia. Questo elemento è una licenza poetica in quanto il piatto è tipico delle prelibate cene rinascimentali, come del resto ben documentato nei libri di cucina dell’epoca.

Ma non solo quella del refettorio di Milano è una celebre ultima cena esiste anche il curioso convitto sacrilego di Paolo Veronese a casa Levi a Venezia. Sacrilego dato la fastosità rinascimentale del banchetto, tanto eccessivo che sull’autore si puntarono gli occhi della Santa Inquisizione, al che egli dovette addirittura cambiare nome al dipinto onde evitare una condanna. Il dipinto era infatti un monumentale affresco di molti personaggi fra cui un servo dal naso misteriosamente sanguinante, un giullare, un pappagallo e due soldati tedeschi. Dove Pietro è ritratto tutto intento nel tagliare un enorme pezzo di agnello come farebbe, un nobiluomo del periodo (del Veronese non della Giudea) e un gatto lo osserva facendo capolino da sotto il tavolo.

Ma quale, ipotizziamo, sarebbe stata una credibile ultima cena?

Secondo il professore di storia antica Ken Albala, certamente una cena mediterranea fatta di pane, olive, fichi e datteri ma anche melograni, noci, ceci e lenticchie. In aggiunta verdure, formaggio e forse carne di agnello o meglio di capra.

La giornalista Lauretta Colonnelli, autrice de La tavola di Dio, scrive che un pasto pasquale, come questo, avrebbe incluso cibi con erbe amare: lattuga, germogli di cicoria selvatica e sedano, pane azzimo, salsa di frutta e noci (chiamate charoset), agnello arrosto e vino, zuccherato e aromatizzato.

Curiosamente per molto tempo, all’inizio del cristianesimo, l’Ultima Cena non fu affatto illustrata. La prima raffigurazione conosciuta è un mosaico ravennate del VI° secolo, dove vediamo Cristo e i dodici apostoli sdraiati attorno a un tavolo basso, su cui vediamo due pesci su un piatto circondato da pagnotte; cibo austero forse più figurativa che vera, in rimando alla moltiplicazione oltre che rimandando il pesce al simbolo acronimo del Cristo.

Potendo scegliere un piatto scegliamo quindi il medio orientale charoset di cui esistono diverse varianti: quella turca prevede uvetta (da ammollare almeno per una mezz’ora per reidratarla), che si unisce a datteri e noci frullati grossolanamente, allo zucchero, al vino e alla scorza di una arancia grattugiata, di cui uniremo anche il succo. Mescolato bene il tutto prima di servirlo con pane azzimo.

Ci siamo astenuti dal dare le giuste dosi in quanto vi invitiamo a provare questo ricco piatto da fine pasto nella composizione che maggiormente vi aggrada.

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Birra

Genius Loci… Herzl storico birrificio israeliano di Talpiot, piccolissimo e molto apprezzato, ha rielaborato la formula della prima birra conosciuta dall’uomo, risalente a quattro millenni avanti Cristo. Ricetta sumera? Forse? Itai Gutman, patron di Herzl, ha affermato alla BBC di essersi dedicato per anni a questa ricerca, che ha coinvolto un pool di scienziati, che da un genoma del grano sono risaliti al un ceppo originale, non domesticato.

Non siamo certo noi a far da contradditorio questa birra biblica è solo da provare!