8 Marzo anche al cinema, all’UCI due film al femminile



Per la Giornata Internazionale della donna, al cinema di Montano Lucino arrivano “Tàr”, con Cate Blanchett e “La Signora Harris va a Parigi”
Giornali, radio, tv, web si apprestano a celebrare l’8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, con eventi e approfondimenti, il cinema fa la sua parte e, in particolare, il circuito UCI Cinemas che onora l’International Women’s Day con due film le cui protagoniste sono due donne molto diverse. In Tàr Cate Blanchett è Lydia Tár la prima donna di sempre a dirigere l’orchestra dei Berliner Philharmoniker mentre La Signora Harris va a Parigi racconta la storia di una comune governante britannica il cui sogno di possedere un abito da sera firmato Christian Dior la condurrà verso una straordinaria avventura. In occasione della Giornata internazionale dei diritti della donna entrambi i film saranno proiettati nel multisala UCI Cinemas di Montano Lucino al prezzo scontato di soli 4,90 euro.
Interpretato dalla grande Cate Blanchett, che proprio per questo ruolo ha vinto il Golden Globe alla miglior attrice in un film drammatico, Tàr è candidato a sei premi Oscar, tra cui quello al miglior film, al miglior regista per Todd Field e alla miglior attrice protagonista.
Lydia Tár, prima donna a dirigere l’orchestra dei Berliner Philharmoniker, si trova al centro di polemiche sull’abuso di potere esercitato nel proprio ruolo e sulla richiesta di favori sessuali fatta a delle dipendenti in cambio di riconoscimenti professionali. In particolare, dopo il suicidio di una sua ex assistente, Krysta, cominciano a circolare prove e video compromettenti, probabilmente diffusi da membri del suo stesso staff. Un incipit senza mediazioni ci catapulta nell’intimità della protagonista e ci illustra il modus operandi del regista Todd Field: una conversazione rubata, una chat privata tra l’assistente di Tár, Francesca Lentini, e un’interlocutrice dall’identità sconosciuta. Il contrasto di ammirazione e risentimento, amore e odio, bisogno di attenzione e insieme desiderio di vendetta che circonda la direttrice d’orchestra è già evidente dai primi frame, così come l’intento di Field di mescolare audacemente linguaggi differenti e contrastanti. Le conversazioni su smartphone e le escursioni su YouTube si mescolano a sequenze che appartengono a un cinema più classico e tradizionale, mentre le incursioni verso un’estetica quasi sperimentale caratterizzano le fratture della narrazione, i momenti di climax in cui la psiche di Lydia è messa a dura prova dalle sfide che le si pongono davanti.
La sequenza dell’intervista iniziale, con pochi stacchi di montaggio, colpisce al pari delle parentesi oniriche per la vivida immaginazione di Field, che mette il suo passato di esteta del videoclip al servizio di un’opera dalle grandi ambizioni. Sembra quasi che Field intenda assemblare narrazioni differenti e coordinarne la polifonia proprio come Lydia Tár alternerebbe archi e ottoni: la mano sinistra per plasmare e dare forma alla creatività, la mano destra per dettare il tempo e trasformare suoni in sinfonie, oppure semplici immagini in cinema.
Al cuore dell’indagine di Field si trova il tema sempre più attuale dell’abuso di potere e dell’estrema difficoltà di separare sfera privata e professionale. Quando quest’ultima conduce oltre ogni aspettativa ed espone a continue lusinghe, è possibile mantenere il controllo senza cedere alla tentazione di sostituirsi a Dio e gestire i destini degli esseri umani? Starà allo spettatore valutare se sia giustificato l’odio verso Lydia, cercando di discernere l’artista dalla donna.
La Signora Harris va a Parigi ha invece ottenuto una candidatura agli Oscar per i migliori costumi e una ai Golden Globe per la migliore attrice in un film commedia o musicale a Lesley Manville.
A metà tra commedia sociale e romantica, la storia della signora Harris parte con il lancio di una monetina. Siamo nella Londra degli anni 1950, la fortuna non bussa spesso alla porta della protagonista, una signora delle pulizie che fatica ad arrivare a fine mese, specie da quando non ha più notizie di suo marito. Le clienti sono sempre più esigenti, si ‘dimenticano’ spesso di pagarla e lei tira avanti come può. Un giorno scopre nell’armadio di una di loro uno sfavillante abito di alta moda e se ne innamora. Non si innamora solo dell’abito, chiaramente, ma dell’idea stessa di poter essere finalmente vista, guardata, ammirata, considerata. Tutto parte da un romanzo scritto nel 1958, “La Signora Harris” di Paul Gallico. Il regista Anthony Fabian sceglie di adattarlo sullo schermo e rende ancora più potente, grazie alla suggestione della visione, il sogno della sua protagonista: un meraviglioso abito di alta moda. Lungi dal firmare una commedia che inneggi al consumismo o alla febbre per la moda, riesce a confezionare una commedia deliziosa con una sceneggiatura brillante e un umorismo gustoso.
L’abito si fa quindi metafora di un riscatto agognato, del sogno di un’improbabile ascesa sociale e della temporanea sospensione di una serie infinita di frustrazioni, incombenze e preoccupazioni quotidiane. Per questo suo ‘amor fou’ la signora Harris sarà disposta a fare qualsiasi cosa. Cercherà di mettere da parte i soldi per pagarsi un volo per Parigi, sarà pronta a sfidare gli sguardi snob e i commenti classisti di chi non sa guardare oltre il suo atelier (la direttrice Claudine Colbert interpretata da Isabelle Huppert, formidabile anche in versione dramedy). E si trasformerà in una sorta di Mary Poppins capace di aggiustare, con il suo grande cuore, le vite altrui.