Pallanuoto Como, le motivazioni del non luogo a procedere. Rabbia Dato:”Il mio nome infangato”

10 marzo 2023 | 07:26
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Pallanuoto Como, le motivazioni del non luogo a procedere. Rabbia Dato:”Il mio nome infangato”
Pallanuoto Como, le motivazioni del non luogo a procedere. Rabbia Dato:”Il mio nome infangato”
Pallanuoto Como, le motivazioni del non luogo a procedere. Rabbia Dato:”Il mio nome infangato”

Il presidente dopo l’assoluzione e le motivazioni del giudice:”Travolti da una odissea kafkiana perchè abbiamo infastidito certi interessi consolidati”

Sono state depositate le motivazioni della sentenza di non luogo a procedere emessa dal Giudice di Como Walter Lietti nei confronti di Giovanni Dato, presidente di Pallanuoto Como, di Federica Dato, amministratrice della stessa società, e di Carlo Lazarich, legale rappresentante di Crociera Stadium. L’accusa era di turbativa d’asta, intervenuta durante il bando per l’assegnazione del compendio sportivo in viale Geno 14 a Como. La conclusione messa nero su bianco dal Giudice per l’udienza preliminare è inequivocabile: “il fatto non sussiste”.

È l’ultima tappa di una vicenda surreale – si legge in una nota del club lariano – nella quale Pallanuoto Como ha avuto varie sentenze amministrative a favore e vinto anche un bando-ponte, e ciononostante non solo non si è mai vista consegnare le chiavi del compendio ma si è anche trovata a fronteggiare accuse gravissime e una feroce campagna mediatica avversa, alimentata da soggetti che oggi ricoprono alti ruoli istituzionali. Ebbene, oggi emerge chiaramente come queste accuse e questa campagna fossero completamente infondate. Da oggi, quindi, si apre il momento delle domande, legittime, e dei chiarimenti dovuti.

Citiamo dalla sentenza: “Dalla semplice lettura degli atti amministrativi e soprattutto dai provvedimenti giurisdizionali, emerge come l’interpretazione delle clausole del bando emesso dal Comune di Como non fosse affatto perspicua e univoca, cosicché appare finanche singolare la scelta di costituirsi parte civile da parte dell’Amministrazione comunale”. Già, perché il Comune si è costituito parte civile impegnando le risorse dei cittadini comaschi in un procedimento così privo di fondamento? Perché il Comune stesso, l’allora assessorato al Patrimonio, i dirigenti e i tecnici che si sono occupati della pratica, hanno finito per sposare acriticamente una linea che addirittura contestava reati a Pallanuoto Como, linea rivelatasi completamente priva di fondamento? Perché, come ricorda anche la sentenza, la società Como Nuoto è “stata sempre mantenuta nel possesso dell’area oggetto di gara, malgrado la scadenza della concessione e malgrado i pronunciamenti della giustizia amministrativa nel frattempo intervenuti”? Il Comune di Como è stato davvero un arbitro imparziale in questa vicenda? Perché nessuno si è posto “l’elemento logico” ricordato dal dispositivo, ovvero “la circostanza che furono proprio gli attuali imputati ed in particolare Dato Giovanni a promuovere il contenzioso amministrativo nel quale sarebbero prima emersi e poi sarebbero stati ulteriormente commessi i fatti in contestazione”? Infatti, “appare piuttosto singolare che un imputato che sapeva di avere commesso dei reati faccia di tutto per farli scoprire. In altre parole la verifica della legalità della procedura da parte di un soggetto che per primo l’aveva violata pare logicamente poco sostenibile. Di logica, in questa storia, se n’è vista davvero poca – prosegue la nota -. Si sono viste, viceversa, abbondanti dosi di pressapochismo e di propaganda, a spese del buon nome di Giovanni Dato e di Pallanuoto Como, tra l’altro infangati dall’attuale sindaco di Como in vari video condivisi sui social network e addirittura in interventi nell’aula del Consiglio Comunale, tutte azioni rivendicate dall’attuale sindaco nell’ultima campagna elettorale.

Dichiara Giovanni Dato, presidente di Pallanuoto Como: “È la fine di un incubo, di un polverone totalmente infondato che ha travolto per anni il mio nome, quello di Pallanuoto Como e quello della mia famiglia. Anni in cui siamo sempre stati in silenzio, sempre rispettosi delle istituzioni, sempre fiduciosi nel lavoro della giustizia, che ha sempre riconosciuto le nostre ragioni. Oggi, a maggior ragione di fronte alle motivazioni della sentenza di non luogo a procedere che mostrano la nostra integrale trasparenza dall’inizio alla fine di questa storia, siamo sollevati, ma non possiamo essere felici. Non possiamo essere felici, perché chiunque in questa città voglia partecipare a un bando pubblico con un serio progetto imprenditoriale (e per inciso offrendo una proposta economica doppia rispetto al concorrente, come rammenta la sentenza) non può essere travolto da un’odissea kafkiana solo perché infastidisce certi interessi consolidati, abituati ad avere certe sponde politiche. L’odissea che ci ha riguardato implica delle ben precise responsabilità non solo politiche e i soggetti interessati da questa vicenda vorranno rispondere del proprio operato nelle sedi opportune”.

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