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Trasformare lo stadio in un “isolato vivo” di Como, l’idea urbanistica dell’arch. Sergio Beretta

14 aprile 2025 | 16:32
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Trasformare lo stadio in un “isolato vivo” di Como, l’idea urbanistica dell’arch. Sergio Beretta

Un progetto per rendere lo stadio di Como non solo sostenibile, ma desiderabile. Un luogo da vivere e attraversare, che smette di essere un’eccezione urbana per diventare una parte vitale della città, al pari di una piazza, una biblioteca o un isolato residenziale

Uno stadio per 365 giorni l’anno. Non più solo tempio del calcio, ma pezzo vivo della città. È questa l’ambizione che guida l’approccio progettuale dell’architetto comasco Sergio Beretta, che nella sua proposta per il nuovo stadio di Como rilegge l’impianto sportivo come un vero e proprio isolato urbano multifunzionale, ispirandosi alla filosofia dell’architetto scozzese David Sim illustrata nel saggio Città dolce nel quale la pianificazione delle città è centrata sulle persone, un’ispirazione che viene dagli anni ’80 nei suoi viaggi in Italia ed in particolare sul lago di Como, come lui stesso racconta nella prefazione del libro.

stadio sergio beretta

Beretta ha tradotto in italiano il libro di Sim e per la sua idea urbanistica dello stadio di Como ha applicato l’equazione su cui si fonda il pensiero di Sim: densità x diversità = prossimità, ovvero la fusione tra densità, intesa per quanto intensamente è utilizzato uno spazio urbano, e diversità di utilizzo, incrementi la probabilità, o possibilità, di avere a portata di mano cose utili, luoghi e persone. Qui è possibile visionare l’idea di Sergio Beretta “Stadio dolce. Vivere lo stadio come un isolato urbano”

Uno stadio come pezzo di città

La premessa da cui parte Beretta è chiara: il problema non è tanto la presenza dello stadio in centro città, quanto piuttosto la sua disconnessione dal contesto urbano. A rendere difficoltosa la convivenza tra città e partite sono infatti le restrizioni temporanee — blocchi alla viabilità, soppressione di parcheggi, chiusure — che ne accentuano il carattere di corpo estraneo, refrattario alla vita quotidiana. Il punto, allora, è ripensare la relazione tra lo stadio e lo spazio pubblico circostante, smettendo di vederlo come una “macchina per il calcio” e iniziando a progettarlo come una cellula urbana densa, ricca di funzioni e relazioni, capace di offrire esperienze anche al di fuori dei 90 minuti di gioco.

L’ispirazione: l’isolato urbano denso

Nel modello proposto da Città dolce, l’isolato urbano è un organismo vitale, stratificato, in cui la varietà funzionale garantisce densità di usi, sicurezza, socialità e qualità della vita. È proprio questo tipo di logica che Beretta applica allo stadio: l’edificio sportivo diventa un contenitore ibrido, capace di ospitare negozi, spazi di coworking, palestre, aree verdi, ristorazione e perfino camere d’albergo. Il cuore pulsante resta ovviamente il campo da gioco, ma tutto intorno si sviluppa una nuova centralità urbana, in dialogo continuo con il contesto cittadino. Non più dunque una barriera, ma un luogo attrattivo, accessibile, aperto e vissuto tutto l’anno.

Il progetto dell’architetto Beretta distingue con estrema precisione le diverse scale spaziali possibili all’interno e attorno allo stadio, dalle micro-dimensioni (che possono accogliere attività ridotte come botteghe locali, servizi di prossimità), ambienti più estesi, capaci di ospitare attività commerciali o culturali che generano vita urbana, fino ai grandi spazi pubblici pensati per funzioni complesse e miste (residenze temporanee, co-working, spazi eventi). Questa modularità spaziale consente al progetto di adattarsi nel tempo e nello spazio alle diverse esigenze della città, rendendo lo stadio più resiliente, flessibile e vivo.

Il piano terra, in particolare, diventa la vera cerniera tra spazio pubblico e privato. È su questo livello che si gioca la partita più importante del progetto: trasformare lo stadio in una porzione urbana aperta, permeabile, accessibile a tutti. La sua attivazione continua (365 giorni/anno) favorisce la sicurezza, la vitalità e l’interazione sociale. Gli studi riportati nel documento ricordano come la qualità dello spazio pubblico sia direttamente proporzionale alla densità di attività e relazioni che vi si svolgono: più funzioni, più sicurezza, più vita.

stadio sergio beretta

Il progetto si confronta anche con le altezze degli edifici limitrofi, cercando un equilibrio tra monumentalità e rispetto del contesto. La “soglia critica” dei 22 metri è superata solo per le tribune principali, mentre gli altri volumi si mantengono su scala più urbana.

Accanto all’altezza, Beretta riflette su 12 criteri di qualità dello spazio pubblico mutuati da Jan Gehl, tra cui:

  • comfort e sicurezza;

  • inviti all’interazione e alla mobilità dolce;

  • opportunità di fermarsi, sostare, ascoltare, guardare.

E infine, una riflessione sul concetto di “centro”. Lo stadio, se ben progettato, può diventare un nuovo polo urbano, non isolato ma connesso al centro storico e capace di integrarsi nel tessuto cittadino, secondo logiche non dissimili da quelle che governano i quartieri centrali delle città nordiche.

In conclusione  il lavoro di Sergio Beretta rappresenta una proposta radicale ma concreta: rendere lo stadio di Como non solo sostenibile, ma desiderabile. Un luogo da vivere e attraversare, che smette di essere un’eccezione urbana per diventare una parte vitale della città, al pari di una piazza, una biblioteca o un isolato residenziale.

Sfogliare il suo studio è come immergersi in una visione dolce di città, dove anche un impianto sportivo può diventare un laboratorio di urbanità, convivenza e bellezza.

stadio sergio beretta