Les Contes D’Hoffmann chiude l’anno lirico del Teatro Sociale

Con la presentazione dell’opera, lunedì 15 dicembre alle ore 18.30 nel foyer del Teatro Sociale di Como (ingresso gratuito), inizia la settimana de “Les Contes D’Hoffmann”, opera fantastica in cinque atti. Musica di Jacques Offenbach, libretto di Jules Barbier, tratto dal dramma omonimo di Jules Barbier e Michel Carré che andrà in scena venerdì 19 e domenica 21.
Il tradizionale incontro per introdurre l’opera, promosso in collaborazione con l’Associazione Amici del Teatro, è curato dal critico musicale Carlo Majer che avrà il compito di spiegare un’opera dal meccanismo complesso che corre sul filo dei Racconti amorosi del poeta Hoffmann alla costante e vana ricerca della donna perfetta per poi giungere alla conclusione di essere innamorato solo della sua stessa arte .La prima rappresentazione de “Les Contes D’Hoffmann” avvenne a Parigi, Opéra-Comique, il 10 febbraio 1881, ed è uno dei titoli d’opera maggiormente sottoposti a revisione, con moltissime versioni della stessa. Tra le cause principali della tormentata vicenda editoriale dei Racconti vi fu, in primo luogo, la morte di J. Offenbach, che non fece in tempo ad orchestrare la partitura o a lasciare specifiche indicazioni su come procedere. A tale scopo fu incaricato un altro autore che apportò diverse modifiche. Ad aggravare la situazione contribuì un incendio nel 1887 che distrusse la maggior parte dei documenti relativi al dramma di Barbier.
La rappresentazione in programma a Como vedrà l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano diretta da Christian Capocaccia mentre la regia è di Frédéric Roels. Il cast principale è il seguente: Michael Spadacini (Hoffmann), Abramo Rosalen (Lindorf/Coppelius/Dottor Miracle/Dapertutto), Larissa Alice Wissel(Antonia), Bianca Tognocchi (Olympia), Maria Mudryak (Giulietta), Completano il cast il Coro del Circuito Lirico Lombardo, diretto dal M° Diego Maccagnola.
LES CONTES d’HOFFMANN
Teatro Sociale
venerdì, 19 dicembre – ore 20.30
domenica, 21 dicembre – ore 15.30
I biglietti per assistere all’opera sono in vendita sul sito www.teatrosocialecomo.it e alla cassa del teatro.
L’OPERA SECONDO CHRISTIAN CAPOCACCIA
MATERIA MAGICA
Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel…
L’«incantamento» dell’incipit di uno dei più famosi, e a me più cari, sonetti danteschi è la vera dimensione in cui si svolgono Les contes d’Hoffmann, moltiplicando in un mirabolante, borgesiano gioco di specchi l’incantesimo primo che sta alla base di ogni finzione teatrale e operistica. Il fascino di questo lavoro − se vogliamo nel senso più etimologico del latino fascinum = stregoneria − risiede nell’incredibile proliferazione dei suoi incantesimi, che avvincono l’ascoltatore, immedesimato fin dall’inizio nel personaggio Hoffmann, dalla narrazione fantastica dei suoi tre racconti, alla magia dei casi amorosi di cui lo scrittore è allo stesso tempo autore e protagonista, ai malefici di cui è vittima. Il protagonista è, nelle mani di un Offenbach ‘buon incantatore’, lo strumento della creazione di una dimensione altra, in cui rimaniamo rapiti, costantemente in bilico tra sogno e realtà: come nel secondo atto, dove la realtà di Hoffmann, l’unica che parrebbe verosimile, stride con la realtà di tutti, che risiede in una finzione − la finta natura umana dell’automa Olympia. Una dimensione in cui, in una sorta di caleidoscopio felliniano, nella finzione generale si inanellano, una dentro l’altra, le finzioni dei vari racconti. E dove, infine, le cose acquistano una natura magica, come il ritratto della madre di Antonia che prende vita, o il diabolico violino di Miracle, o lo specchio che cattura l’immagine di Hoffmann nell’atto di Giulietta.
In questo senso, la musica di Hoffmann tocca l’apice quando va oltre la sua generica carica romantica, secondo idiomi tipici dell’opéracomique francese, intrisi della mirabile ispirazione melodica dell’Offenbach genio dell’operetta. Les contes d’Hoffmann diventano una delle più incredibili incarnazioni dell’incantesimo operistico nei momenti in cui la musica si insinua nelle pieghe della materia magica di questa narrazione e diventa la voce di quelle ‘cose’, nel suo aderire al loro valore simbolico e farsi concreta manifestazione del loro potere incantatore. Non posso dunque che avvicinarmi a questo capolavoro e offrirlo al pubblico, se non pensando ad Hoffmann e Nicklausse come gli amici Dante, Guido e Lapo, e tutti noi con loro, vittime felici di questo «incantamento», trasportati in un vasel di dantesca memoria − la gondola di Giulietta? − dal genio musicale di Offenbach. Christian Capocaccia
LES CONTE D’HOFFMANN PER FREDERIC ROELS
TRA SOGNO E REALTÀ
Il nostro spettacolo si basa sulla edizione 1907 pubblicata da Casa Choudens, fedele allo spirito di Offenbach e di una notevole efficacia drammatica, pur contenendo alcuni numeri musicali apocrifi (l’aria di Dapertutto Scintille, diamant, e il meraviglioso settetto alla fine dell’atto di Giulietta). I testi tra le arie saranno declamati, come era in uso all’epoca della creazione dell’opera nel 1881 all’Opéra Comique di Parigi (cantati, poi, nella nella ripresa per Vienna, similmente a Carmen).
Hoffmann è uno scrittore del XIX secolo, uno degli inventori (e di quale talento!) del genere fantastico. Questo Hoffmann reale diventa il personaggio principale dell’opera, incarnando anche l’ideatore e l’autore, il fil rouge, il manipolatore e la vittima degli intrecci che si susseguono.
L’epoca di Offenbach fu un’epoca incredibilmente fantastica, specialmente grazie alle formidabili invenzioni ed a rivoluzioni inimmaginabili: il treno, il cinema, l’automobile, la lampadina. Tali invenzioni sconvolsero la vita quotidiana e modificarono l’idea stessa di spettacolo e di rappresentazione. Oggi bisogna contare su una illusione invadente che costringe lo sguardo e deforma la realtà, prendendo lucciole per lanterne (magiche, per giunta). Il celebre mago Robert-Houdin spinse i confini tra la realtà e la sua percezione, mentre Georges Méliès inventò gli effetti speciali, quasi ipnotizzando gli spettatori. Per non dimenticare che questa nozione di ipnosi si sviluppò nella clinica del Dottor Charcot, frequentato da un certo Sigmund Freud laureatosi nel 1881, proprio l’anno della creazione parigina de Les contes d’Hoffmann.
Lo spettacolo cerca di rendere questa dimensione fantastica, già presente nel testo, attraverso un ambiente che gioca costantemente sull’illusione, sprofondando tale gioco nell’abisso. L’opera è complessa perché rimase incompiuta, lasciando un certo senso di insoddisfazione e frammentarietà. L’unità, tuttavia, si fonda sulla continuità di carattere da un personaggio all’altro. Nicklausse è al tempo stesso il sosia e il riflesso di Hoffmann. Olympia, Antonia, Giulietta, Stella sono una donna sola, colte in momenti diversi della vita. Il fragile filo conduttore dell’opera è una chiave che Hoffmann e Lindorf si disputano e che aprirà il camerino, dunque il cuore di Stella. La chiave, intrisa di simboli e di desideri, aprirà delle vere scatole in scena, rappresentando degli spazi di vita (di sogno, di fantasie) e degli stati di coscienza.
I tre intrecci e le tre donne rappresentano le tre età dell’amore. Con Olympia la storia comincia con un colpo di fulmine, è l’amore folgorante, luminoso e necessariamente effimero. Con Giulietta sopraggiunge l’amore fisico, intenso, la sensualità, l’erotismo, la sessualità; è forte, devastante e tragico. Antonia rappresenta la terza e ultima fase, l’amore pienamente sbocciato, stabile, potente e lento. Ma è anche l’ultimo, quello dell’età matura: la morte, dunque, non è lontana.
E con la morte si concludono tutte le storie de Les contes d’Hoffmann. La morte è già presente ovunque, anche prima di ogni epilogo. Si manifesta attraverso la ‘non-vita’ dei personaggi a metà strada tra bambole e robot, attraverso la precedente morte della madre di Antonia (che appare e canta dalla tomba), attraverso gli incantesimi fatali del Dottor Miracle. In questa illusione permanente, in cui ogni personaggio è il sosia dell’altro, in cui l’ebbrezza conduce a uno stato comatoso, la morte è perennemente in agguato. In questo gioco tragico di illusioni e di morti, non si può non pensare che la morte colpì Jacques Offenbach, prima che potesse completare la composizione di quella che sarà, alla fine, la sua prima opera.
Nell’assistere allo spettacolo meglio, dunque, che una parte del mistero permanga e che uno squilibrio costante ci conduca a privilegiare le sensazioni alla ragione. Come il poeta Paul Verlaine, contemporaneo di Offenbach, rivela in una delle sue poesie più belle…
Faccio spesso questo sogno strano e penetrante
di una donna sconosciuta, e che io amo, e che mi ama,
e che non è, ogni volta, né del tutto la stessa
né del tutto un’altra, e mi ama e mi capisce.
Frédéric Roels